Crotone bidonville
di Antonella Policastrese
Crotone, viale alberato. Si chiama Via R. Margherita. Un tempo era considerato il salotto buono della città. Molta gente lo affollava per sedersi sulle panchine e respirare un po’ di aria fresca e ripararsi dalla calura estiva. Molti i bambini che in quelle piccole oasi di verde si divertivano a giocare lontano dal traffico e dalle auto che asfissiavano l’aria con i loro tubi di scarico. Come passa il tempo e come tutto cambia!
Lo dimostrano le foto dove quelle stesse zone di verde sono diventate alberghi all’aperto per tutta questa gente che arriva dall’Africa e dalle zone di guerra, desiderosa di un riscatto sociale. E di riscatto non so quanto ne trovino se alloggiano su cartoni o materassi recuperati chissà dove. Se per lavarsi affollano le fontanelle e tra un albero e un altro legano corde di fortuna, per stendere quel che rimane dei loro stracci. Bidonville a cielo aperto. Gente che quando non alloggia nei CARA, li trovi in casermoni dismessi dove si organizzano alla meglio,e se la fame si fa sentire non esitano a catturare qualche colombo per arrostirlo su un fuoco di fortuna.
Gente che in pochi metri vive una vita non si sa bene quanto dignitosa. Molti li trovi nella stazione ferroviaria fantasma. Da quando i treni sono stati soppressi si è trasformata nel loro villaggio preferito. Dentro quella stazione, un tempo funzionante e legata alla speranza di prendere un treno e andare via, succede di tutto. Alcuni di loro da vittime diventano carnefici e per far soldi si dedicano al mercato della prostituzione. Altri si organizzano in bande e li trovi davanti ai parcheggi, custodi di auto se paghi, altrimenti lo sfregio è garantito. Ecco cosa è diventata Crotone, un villaggio globale dove, a fianco della povertà “autoctona” convive una povertà multietnica che rende questa città una specie di ghetto,specie ora con la crisi galoppante che ha portato una vera epidemia tra negozi chiusi in fretta. Una specie di città fantasma o alla “Mad Max” dove ognuno organizza i suoi spazi e vive come può.
Una specie di Inferno, nel quale la settimana scorsa è arrivata la ministra Kyenge. Chissà se questa parte di città l’avrà visitata, chissà se ha capito la dimensione del problema, o se invece, da politicante dell’ultima ora, preferisce ignorare e andare avanti, facendosi magari campagna elettorale grazie a chi la insulta, senza accorgersi che quegli insulti servono a dire che in Italia siamo razzisti e che dobbiamo integrarci: ma cosa c’è da integrare se non povertà ed emarginazione locale e globale?Cambiano i tempi ma non il valore di una miseria che ci abrutisce e ci fa essere non uomini, ma morti viventi.
Antonella Policastrese