Il controllo del POTERE sui MEDIA

               di Viliana Cancellieri

LIB-PRESS

         Il 25 maggio 2011, in polemica con il direttore Augusto Minzolini, la giornalista Elisa Ansaldo annunciò il suo ritiro da conduttrice del TG1, con-testando il fatto che esso violerebbe i più elementari doveri dell’informazione pubblica come equilibrio, correttezza, imparzialità e completezza  dell’informazione.

Un anno prima la collega di redazione e amica Maria Luisa Busi aveva preso la stessa decisione.

“LA VERITA’ NON VI VERRA’ MAI DETTA.

QUESTA E’ L’UNICA CERTEZZA!”

La televisione, che è diventata la principale fonte di informazione per la stragrande maggioranza della popolazione dei paesi democratici, ha reso ancora più attuale questo problema ed ha ribaltato e sporcato il concetto di DEMOCRAZIA.

Dal 1988 si è diffusa la visione di Edward S. Herman e Noam Chomsky (Modello di propaganda), che vedono i mass media come una fabbrica di consenso. Secondo la visione del sociologo della comunicazione Manuel Castells, i media sono “il terreno della lotta per il potere“.

Incriminati, dunque, Televisione e Cinema: la scomparsa di numerose testate, di stampa libera e di fonti di informazione indipendente hanno creato la perdita di varietà culturale concentrando il potere nelle mani dei monopoli e dei potentati finanziari che perseguono come unico obiettivo il totalitarismo culturale e l’omologazione del pensiero.

La presenza artistica in tv è limitata alla mera funzione decorativa e d’intrattenimento pubblicitario ed è ridotta a pretesto estetico per ben altre pratiche discorsive.

Sappiamo che le forme culturali mediate dalla televisione assumono un’autorità e un’influenza equivalenti a quelle della scuola e della famiglia. La televisione diventa l’istituzione primaria nella vita emotiva delle giovani generazioni cui offre modelli e stili di vita particolari. Anche gli adulti sono soggetti all’impatto sociale del mezzo televisivo.

Dobbiamo dire che Cinema e Televisione hanno la stessa “grammatica” ma sicuramente c’è una differenza: il cinema è una scelta consapevole e autonoma mentre la televisione, il più delle volte, si subisce.

Ecco perché è indispensabile, oggi più che mai, non subire le immagini e i messaggi che vengono quotidianamente bombardati su di noi, ma imparare a decodificarli e a interpretarli nella giusta maniera e a scavare al di là delle parole.

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        Da un’epoca in cui si comunicava con le parole si è passati al primato dell’immagine: la realtà non ci si presenta più all’udito ma alla vista. Le immagini filmiche, pubblicitarie e televisive, grazie al loro impatto immediato e alla loro capacità di sintesi, coinvolgono e risvegliano passioni e sogni della società con una forza che è sconosciuta ad altre fonti: ben venga, purché se ne faccia buon uso e purché chi propone tali immagini sia in buona fede.

Meno giornali, pochissimi libri: tutto si apprende attraverso telegiornali o internet.

Ma, mi chiedo, la realtà che ci viene presentata OGGI attraverso le immagini filmiche e pubblicitarie, lasciano a chi guarda il tempo per riflettere, considerare, criticare, assimilare, scegliere o, piuttosto, sono diventate lo “strumento” per pilotare, colpire, anestetizzare?

Non si può negare che un’immagine presenti la realtà da un determinato punto di vista con lo scopo di colpire chi guarda ma senza dare il tempo di riflettere su ciò che vede. L’informazione viene, oggi, volutamente svincolata dalla comprensione globale ed è vitale imparare a conoscere, distinguere e denunciare le logiche perfide che stanno dietro le “quinte” di una regia utilitarista, astuta e calcolatrice.

Come sono lontani i tempi in cui (28 dicembre 1895) Louis e Auguste Lumière, al “Cinematografo” di boulevard des Capucines, a Parigi, offrirono ad una platea incuriosita le prime immagini in movimento. Trentacinque spettatori in uno scantinato di Parigi. Trentacinque franchi d’incasso per la serata. Dieci pellicole di sedici metri ciascuna. Con “L’arrivèe d’un train” ( treno che arriva alla stazione di La Ciotat nel 1895): vi furono addirittura scene di panico. Molti scapparono dalla sala.

Cominciò così il lungo viaggio del cinema nel mondo, tra l’indifferenza della stampa, ma non della gente comune che, incuriosita, faceva a gara per penetrare nel sotterraneo di boulevard des Capucines dove i fratelli Lumière proiettavano i loro primi films. Cominciò in un clima di diffidenza e di scetticismo, anche da parte degli stessi inventori del “cinematografo” se è vero che Antoine Lumière, padre di Louis e Auguste, nelle sue vesti di amministratore della prima Compagnia di produzione e di distribuzione cinematografica, metteva sull’avviso uno dei loro più fedeli collaboratori, l’operatore di macchina Felix Mesguich, sull’ ipotesi che quell’avventura forse non avrebbe portato da nessuna parte.

“Badi bene, Mesguich, che non le offriamo un avvenire. Più che altro è un lavoro da fiere, che potrà durare sei mesi, forse più ma forse anche meno.”

Non credevano neanche loro, i Lumière, che la loro invenzione delle immagini in movimento presto avrebbe rivoluzionato lo spettacolo nel mondo e sarebbe stata considerata l’ottava Musa nel Parnaso degli dei.

            Arriviamo al 1906: il cinema offre agli umili la possibilità di compiere viaggi leggendari col modesto prezzo di un biglietto (12 centesimi di lire). La gente abbandona le osterie per frequentare le sale cinematografiche che nascono sempre più numerose. I globi delle prime lampade illuminano gli imbonitori in livrea che distribuiscono programmi del cinema, invitando i passanti con voci stentoree, aiutati da fonografi che diffondevano le musiche e le canzoni di commento e da voci di usignoli meccanici.

         L’inizio della storia della televisione, invece, può essere fatto risalire al 25 marzo 1925, quando l’ingegnere scozzese John Logie Baird ne diede dimostrazione nel centro commerciale Selfridges di Londra. Era l’epoca del bianco e nero.

Nel 1957 c’è la comparsa della pubblicità in Rai con l’avvento di Carosello, un famoso spazio, dove il messaggio pubblicitario doveva rispettare rigorose regole stilistiche e narrative. Difatti, il prodotto reclamizzato può essere citato solo all’inizio e alla fine di un breve spettacolo (135 secondi).

Nel 1962 vi fu il primo collegamento via satellite tra Italia e Stati Uniti, che segnò l’avvento della comunicazione intraplanetaria,

Oggi in Italia, così come anche in moltissimi altri Paesi, vi sono 2 tipi di televisioni: la televisione pubblica che ha i suoi proventi sia da trasferimenti dello Stato che dalla pubblicità, e le televisioni commerciali (in Italia emblematico il gruppo Mediaset) che traggono i loro proventi principalmente dalla pubblicità

Svincolati da ogni responsabilità, lasciati in balìa della legge del mercato, soggetti ad un unico centro di potere, Cinema e Televisione (nati come luminose espressioni di arte, conoscenza ed evoluzione della tecnica) stanno morendo per spegnersi nel buio più della più totale e perfida strumentalizzazione.

Che fare? Continuare a subirli o trovare i mezzi per uscire da questa “ipnosi” collettiva?!

Lettura ed educazione all’immagine
dovrebbero essere materia di studio nelle scuole di ogni ordine e grado al fine di educare i nostri figli a distinguere la nobile arte filmica e televisiva dai beceri programmi o dalle notizie tendenziose e subdolamente mendaci.

Si tratta di un lavoro di scomposizione per immagini che permette ai ragazzi di cogliere i messaggi nascosti dalla velocità di trasmissione.L’abitudine a riflettere su ciò che si vede porta lo spettatore a sviluppare una capacità critica utile poi nella normale fruizione dei programmi televisivi e cinematografici..

E’ necessario, ora più che mai, che il pubblico venga educato a diventare uno spettatore attivo e critico.

In un suo libro, Paolo Landi sostiene:

“ Non sono i programmi lo scopo per il quale la televisione esiste, ma la pubblicità. I film, le fiction, i cartoni animati, le commedie, le soap-opera sono create in funzione del mercato della pubblicità.

Un programma TV, infatti, è remunerato e può continuare ad essere trasmesso solo se ottiene quello che ormai comunemente è chiamato audience. L’audience permette a chi finanzia gli sponsor di avere la garanzia che il suo prodotto venga reclamizzato davanti ad una certa quantità di spettatori. Secondo questa logica, dunque, se calano gli ascolti, calano i finanziamenti, dunque cade la motivazione stessa per cui la televisione è costruita.

Avere audience, per chi fa televisione, è il maggior obiettivo, ma allo stesso tempo è la sua peggiore malattia. Stranamente, i programmi che contengono fatti eclatanti, colpi di scena, scene di violenza, scene di sesso, avvenimenti imprevisti e scandalosi sono quelli che ottengono più audience.

Il filosofo e scrittore austriaco, Karl Popper, su questo argomento elaborò una tesi chiamata “Legge delle spezie”:

“La televisione si trova a dover vendere una pietanza (i programmi TV) ad un pubblico molto ampio, che spesso si fa attrarre dal menù più stravagante.

La conseguenza è che, per vendere questa pietanza, chi lavora in TV è costretto ad aggiungere spezie (scene scandalose, violente, oscene, spettacolari, inaspettate) che ne fanno aumentare terribilmente l’appetibilità. Ma dopo alcuni giorni o settimane la stessa quantità di spezie non basterà più ad attirare i palati golosi; dovranno, perciò, aumentare le dosi, coprendo sempre più il gusto della pietanza; in breve tempo, la TV si troverà a vendere contenuti pessimi, ma ovattati da una tale quantità di spezie da sembrare ancora gustosi ed attraenti.”

Televisione e Cinema, dunque, votati al degrado e alla povertà dei contenuti.

Da non sottovalutare, poi, che la verità presentata nei telegiornali o nei programmi di cultura risulta fortemente distorta e ingannatrice. Negli ultimi anni le grandi notizie orbitano attorno a pochi temi che martellano per mesi i telespettatori: guerre, uccisioni, sparatorie, torture, assassini e stupri, sono divenute il pane quotidiano dei telegiornali. Ma cosa si nasconde dietro alle immagini che vediamo? E’ semplice: l’esposizione continua a questi contenuti falsi fa sì che essi penetrino dentro di noi. Prodotti attraenti, modelle accattivanti, vittorie facili e veloci diventano le nostre certezze e aspirazioni. Questo lavorio operato dalla televisione e della pubblicità (e ovviamente dalla perversa regia che opera dietro le quinte) ha come risultato, nello spettatore, l’incapacità di scegliere e la perdita di libertà.

Dobbiamo denunciare questo meccanismo perverso
ed educare i nostri giovani e noi stessi a difenderci da esso

 

E’ urgente riprenderne il controllo fornendo ai ragazzi le competenze e gli strumenti necessari affinché, attraverso un’adeguata conoscenza del linguaggio audiovisivo, possano decodificare la moltitudine dei messaggi che quotidianamente li raggiungono e, di conseguenza, affrontarli attraverso una fruizione critica e consapevole.

           Guardare un film, per esempio, non vuol dire solo fare attenzione alla storia ma scendere nel suo linguaggio specifico, agli avvenimenti, alle problematiche che esso pone, alle tecniche usate dal regista, vuol dire cercare di comprendere che un testo non è solo comprensione della parola ma che c’è una parte sommersa da individuare. Ogni immagine deve essere sempre decodificata perché le stesse possano essere capite fino in fondo e non subite.

            Quali sono i mezzi a disposizione dei grandi registi e, purtroppo allo stesso modo, degli abili registi prezzolati e venduti al potere per ottenere la spettacolarità e la trasmissione dei messaggi voluti?

Andiamo per gradi. Il regista cinematografico può usare diversi piani di narrazione determinati dalla posizione della macchina da presa: essi sono percepiti dallo spettatore come “oggettivi” quando sono neutrali, o come “soggettivi” quando coincidono col punto di vista di uno dei soggetti presenti nell’inquadratura.

Si può passare in sequenza dall’oggettivo al soggettivo con primi piani staccati trasmettendo al pubblico l’emozione voluta dal regista.

A volte il regista arretra con la macchina riprendendo in contemporanea il protagonista, la cosa che viene vista dal protagonista e, ancora, come vede una terza persona tutta l’azione.

Portare la macchina su, giù, a destra, a sinistra, in alto, in basso su un particolare, vuol dire fissare l’attenzione dello spettatore su un particolare e trasferirgli un’ emozione, una intuizione, una sensazione particolare.

Sarà la bravura del regista che deciderà i movimenti della macchina, che farà vedere le sfaccettature di un personaggio.

Mettendo la macchina, per esempio, dal basso, il personaggio diventa grande e si schiaccia contro il soffitto quasi a dimostrare la sua fine, la sua sconfitta.

Si possono vedere immagini riflesse in uno specchio, all’infinito: sarà l’essenza di un uomo che si sta perdendo all’infinito.

C’è poi il volo d’uccello della macchina che fa passare e volare lo sguardo su tutto, che fa seguire la strada voluta per scendere poi sul particolare che sarà la chiave di tutto.

Anche il colore viene scelto ed usato dal regista a seconda delle sua intenzioni. Il bianco e nero dà la possibilità di creare secondo l’immaginazione determinate situazioni. Le macchie di colore potranno essere usate per esprimere metaforicamente passioni (rosso:passione che brucia; nero: terrore,morte etc.)

Anche i tempi filmici vengono sapiente usati per trasmettere stati d’animo: il tempo reale; il tempo dilatato (il tempo dell’azione diventa più lungo del tempo reale per trasmettere allo spettatore angoscia, tormento, paura); il tempo sintetico (il buio che fa passare da una scena all’altra dà l’idea del tempo che passa.)

Educazione all’immagine potrà voler dire, per ognuno di noi, riuscire ad apprezzare maggiormente la vera arte o difenderci dalla strumentalizzazione che, troppo spesso, di essa si fa.

In Italia è stato tollerato troppo per troppo tempo questo stato di cose che ha tolto respiro non solo alla produzione indipendente ma anche alla capacità individuale e collettiva di sviluppare progetti in limpida autonomia. È il male dei media come lo è per tanti altri settori della nostra società, e finché non ci riapproprieremo degli spazi vitali per agire in quanto Cittadini e non sudditi e tornare a progettare il nostro futuro in quanto protagonisti e non clienti, questo Paese rimarrà ostaggio di dinamiche soffocanti.

Se domani, per veder documentata la realtà, non avremo altra scelta che andare in un museo d’arte contemporanea, forse dovremmo fermarci a riflettere. Che insieme all’immagine si sia persa anche la società?”   (Enrico Tomasielli)
 

L’uomo che subisce, l’uomo terrorizzato, accetterà sempre nella sua vita un regista, un produttore del proprio destino, mentre una coscienza libera dall’oppressione del lavoro coatto, nell’ esercizio quotidiano della comprensione e della creatività, trasforma l’essere umano in autore unico del proprio destino.

Viliana Cancellieri

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Il quarto potere

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