La rubrica Balasso 033

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“Ego te autorizzo a far quel cazzo che vuoi coi miei scripti, cum publicatione sul tuo sito, basta che scrivi che son miei” Firmato Balasso

natalino balasso

Voglio raccontarvi una storiella. Un motto di spirito che ho sempre trovato divertente.
Anche se la verità che sembra celare è tutt’altro che divertente e si direbbe una crudele metafora sul gioco dell’esistenza.
In questa storiella c’è una competizione, travisata, come tutte le competizioni. Chi dice che, ad esempio, la competizione nel commercio migliora la qualità della vita, deve scendere a patti con la menzogna e confondere la vendibilità di un prodotto con la sua reale utilità e la qualità della vita di alcuni con la qualità della vita generale. Quando leggiamo di un imprenditore che si suicida perché gli affari vanno male, siamo tentati di dare la colpa (che è un retaggio del cattolicesimo) all’ultimo anello della catena degli eventi. Se qualcuno gli ha rubato tutta la merce sarà costui il colpevole, se non riusciva a pagare le tasse il colpevole sarà lo Stato, se è entrato in competizione coi cinesi la colpa sarà loro. Insomma, escludiamo dall’elenco dei colpevoli il suicida stesso. Ma non faceva egli stesso parte di un gioco in cui era previsto che chi vince affossa chi perde? Non potrebbe egli stesso aver mandato sul lastrico altri imprenditori concorrenti, magari grazie ad intuizioni commerciali che gli sono valse premi e l’invidia dei colleghi? E non è forse più spesso la vergogna di dover cambiare casta che spinge il perdente ai gesti estremi? Anche il povero che si suicida per disperazione è vittima dello stesso meccanismo, solo che a quel gioco ha giocato meno e sempre con carte da niente.
Non cito a caso un esempio sul suicidio, perché di solito è il finale di una storia che parte con racconti sui vincenti e giornali che versano incenso sulle vittorie commerciali, insomma, i colpevoli di quei suicidi siamo noi quando alimentiamo la cultura della competizione.
Lo so che v’interessa di sapere della storiella e non delle mie fisime sul grottesco paradosso cui dobbiamo fingere di credere, ma spesso ci sono più cose in una storiella che in tutta la filosofia degli economisti.
Ecco dunque:
Ci sono due turisti che campeggiano nella savana. A un certo punto, scorgono in lontananza la sagoma di un leone e quel leone sembra proprio camminare nella loro direzione. Non ci sono alberi nelle vicinanze. Allora, senza fare movimenti bruschi, camminano verso la loro macchina sperando che il leone non li noti, e invece si dirige proprio verso di loro; per giunta, la macchina è piuttosto lontana.
Hanno un’unica tenue speranza: correre a più non posso verso la macchina pur sapendo che, quando inizieranno a correre, il felino farà altrettanto. Il problema è che sono scalzi. Uno dei due ha con sé lo zaino, lo apre al volo e indossa le scarpe da tennis, confidando all’altro:
– Così correrò più veloce.
– Ma guarda che, anche con le scarpe da tennis, non correrai più veloce del leone!
– Non m’interessa correre più veloce del leone, mi basta correre più veloce di te.

La rubrica Balasso 033

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