La Scala

di Antonella Policastrese

scalaI cervelloni del Comune di Crotone avevano pensato che, nell’intervento sull’area sottostante viale Regina Margherita, attingendo ai fondi Pisu, (Progetti integrati di sviluppo urbano) sarebbe stato possibile, fra l’altro, costruire una scala che rendesse agevole salire al piano stradale del viale, dopo aver parcheggiato in via Miscello da Ripe, ovvero lungo la via che un tempo si chiamava strada consortile e che conduceva dal porto sino agli stabilimenti industriali. A fianco di tale strada si erano consumate, negli anni, le velleità di riqualificazione urbana, sociale e ambientale della città di Pitagora. In quell’area furono allocate pure delle attrazioni esotiche: ovvero una gabbia con le scimmie e un laghetto con i cigni, a loro volta sfrattati dalla Villa Comunale. Entrambe le attrattive divennero ben presto simbolo della proverbiale, atavica e ancestrale  barbarie cittadina; nel senso che le scimmie, costrette a vivere in una gabbia con il pavimento di cemento armato, cominciarono ad accusare dei vistosi malanni al proprio “lato B”, e da lì venne coniato il detto, autenticamente crotonese,  “avere il culo come le scimmie”. Questo perché quelle povere bestie, strofinandosi sul pavimento granitico e oltremodo ruvido, si procuravano vistosi edemi alle parti basse del corpo. Erano diventate cattive le scimmie di viale Regina Margherita; ai bambini che gli porgevano noccioline, se possibile, gli mordevano le dita. Un giorno addirittura tentarono la fuga, ma furono ben presto catturate nella casa di un noto pasticcere di Crotone, oggi scomparso, dopo avere seminato il panico in casa; non prima di avere mandato in frantumi uno specchio e di aver fatto scempio del letto grande. Poi si decise che Crotone non era città per scimmie e nessuno seppe più nulla del loro destino. Dei cigni invece, che abitavano nel laghetto a 20 metri dalla gabbia, un giorno si seppe che furono abbattuti da colpi di arma da fuoco, durante un’esercitazione notturna di picciotti locali. Ancora molti anni prima, quell’area sormontata da una muraglia rivaluta, ai giorni nostri,  col nome di Bastione Villafranca, era la sede di un campetto di calcio alla buona, dove si disputavano partite di quell’eterno campionato, fatto di bestemmie e scazzottate,  tra “Pescheria” , “Fondo Gesù” e “Marinella”. Poi cominciarono ad ampliare e riqualificare il porto con il “Molo Giunti”, e l’assetto di quel lembo del territorio crotonese cominciò ad assumere un aspetto totalmente diverso, con la sua riconversione a giardinetti, dotati di piante e fontanine monumentali. Nemmeno la mitica “Symandou” approdava più nel porto di Crotone e la blenda, le piriti, scaricate dalle stive delle navi e destinate agli impianti industriali della città, cominciavano a essere merce rara; prime avvisaglie della fine di un ‘epoca. Ma nonostante tutto, le panchine del molo furono ampliate sacrificando i cosiddetti “ospedaletti”; capannoni dove un tempo erano allocate le officine dell’Ansaldo. E andando ancora a ritroso nel tempo, l’area dove il comune di Crotone sta realizzando un park & ride con i fondi PISU, un tempo era attraversata dalla ferrovia “Valle del Neto”ad esclusiva servitù industriale. Nemmeno mezzo secolo dopo, e siamo agli anni a cavallo tra il 2010 e il 2013, la zona sottostante viale Regina Margherita, era divenuta un hotel a infinte stelle (nel senso che come tetto aveva solo il cielo stellato) per gli immigrati ivi accampati. Capanne e tende di fortuna per quei poveri cristi, ma con il privilegio di potersi almeno lavare sotto le fontanine, incuranti degli sguardi dei praticanti di jogging e di coloro che la mattina presto portano i cani fuori per pisciarli. Le malelingue dicono che i lavori per la realizzazione del “park & ride”  in via Miscello da Ripe siano stati accelerati proprio per sgomberare la comunità di fratelli extracomunitari che avevano eletto dimora in quei luoghi. Sarà stata la fretta, la smania di mettere fine a un problema che stava divenendo di ordine pubblico, oppure la necessità di avviare dei lavori con fondi comunitari che, se non spesi per tempo, dovevano essere restituiti al mittente, ma in via Miscello da Ripe era stata realizzata una scala in cemento armato nei pressi dell’unica cabina telefonica esistente in viale Regina Margherita. La scala, imponente e maestosa, era stata ultimata, mancava solo il taglio delle ringhiere per collegarla con il più famoso e frequentato viale crotonese. Ma è successo che l’ultima settimana di marzo,  un ruspone, grande come una casa, ne ha fatto scempio di quella scala in cemento armato, inforcandone con la benna tutta la trama in ferro, come fosse un piatto di spaghetti al dente. Pare che questa decisione, la demolizione del manufatto, sia stata adottata in seguito alle denunce e segnalazioni da parte di associazioni ambientaliste crotonesi. La struttura era stata giudicata uno scempio in quanto essa sorgeva “a ridosso del cinquecentesco bastione Villafranca… vincolato ipso iure, soggetto a tutela da parte dello Stato e meritevole di opere di conservazione in quanto parte integrante del complesso delle fortificazioni volute dall’imperatore Carlo V e dal vicerè don Pedro de Toledo, marchese di Villafranca.” Per tali ragioni, le associazioni che hanno a cuore e disgrazia le sorti di ciò che avanza della città di Pitagora, ne hanno chiesto l’abbattimento. E sono state accontentate. Delle possibili tre scalette che avrebbero dovuto collegare la “Margherita” di sotto, con quella di sopra, continuano a rimanerne due, una nei pressi di dove erano alloggiati i cigni, dinanzi Molo Giunti, e una laddove sorgeva la gabbia delle scimmie e il bar (ricavato proprio sotto la scala, appoggiata e ancorata al medesimo bastione Villafranca) di un signore che si chiamava “Trentatrè” per via del suo marcato strabismo. La città, la sua storia, il suo immenso patrimonio storico, culturale, monumentale possono ora dirsi salvi, ma c’è da chiedersi quanto sia costato costruire quella scala  e quanto abbatterla. Saranno bastati un centomila euro per entrambe le operazioni ? Quella porzione di muro in questione adesso è libero, sgombero da obbrobri; un tempo era il cesso di fortuna, o di servizio, per famiglie numerose nonché latrina per viandanti, esodati dai pisciatoi pubblici,abbattuti uno dietro l’altro, ed  esseri senza fissa dimora. Ma pensando allo spreco di soldi intervenuto, e senza entrare in merito a colpe e responsabilità per questo stillicidio di risorse pubbliche, più che un monumentale baluardo, quella storica muraglia di via Miscello da Ripe, adesso è di sicuro un muro del pianto.

Antonella Policastrese

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