Lavorare meno lavorare tutti, mantenendo gli stipendi invariati.
di Mirco Mariucci
Se vi chiedessi di esporre la miglior soluzione possibile per risolvere l’attuale crisi economica, quasi certamente mi rispondereste che bisognerebbe far crescere l’economia in modo da creare più lavoro, risolvendo così il problema della disoccupazione. A quel punto i consumi ripartirebbero e il sistema economico si rimetterebbe in moto. Fine della crisi. Bene, se la pensate in questo modo iniziate a preoccuparvi: i mass-media hanno fatto un ottimo lavoro su di voi, avete imparato in maniera ineccepibile quello che dovevate imparare, pensate esattamente ciò che dovete pensare e ripetete a pappagallo una presunta verità utile al potere. Vi assicuro che c’è almeno un’altra soluzione di gran lunga migliore. Come faccio ad esserne sicuro? Semplice, perché quella appena illustrata è la soluzionedi cui abbisogna il capitale, la classica idea diffusa a Ballarò per intenderci, e dal momento che il capitale trae vantaggio dallo sfruttamento indiscriminato di esseri umani e di risorse, già intuisco che quella di certo non può essere la strada ottimale, perché i capitalisti non guardano al benessere collettivo ma al loro egoistico interesse. Non c’è bisogno di creare più lavoro, di lavoro ce n’è anche troppo, solo che è mal ripartito. C’è chi lavora 10 ore al giorno, sabato incluso, e chi è disoccupato. Non dobbiamo rilanciare ulteriormente i consumi, perché è evidente che stiamo già iper-consumando. L’ecosistema non ne può più del nostro stile di vita e inizia amorevolmente ad inviarci dei segnali che dovrebbero farci intuire che non è più il caso di continuare così. Ma al netto di queste belle parole, la disoccupazione resta. E allora: che fare? Veniamo subito al dunque: per eliminare la disoccupazione è sufficiente ridurre l’orario di lavoro senza diminuire gli stipendi, finanziando l’operazione con una semplice manovra redistributiva. Lo so a cosa state pensando… lo so perfettamente! Che non ci sono i soldi per una simile manovra economica, e che quindi sia impossibile mantenere la retribuzione invariata. Eppure il PIL pro-capite in Italia è di 23.000€ all’anno circa (nonostante la crisi). Pro-capite significa per ogni individuo: neonati, bambini, adolescenti, studenti universitari, disoccupati, occupati e pensionati inclusi. In linea teorica quindi ogni italiano potrebbe disporre di 23.000€ all’anno a testa. Così facendo una famiglia composta da padre, madre e 2 figli avrebbe un reddito di 92.000€ all’anno. Mica male! Quindi i soldi ci sono per tutti!?! Certo! E perché allora esiste la povertà? Oh è semplicissimo: perché invece di suddividere la ricchezza che siamo in grado di produrre in parti uguali, c’è chi ne accumula avidamente in eccesso rispetto alla media. Allora chiediamoci: com’è distribuita la ricchezza in Italia? Ce lo dice Bankitalia: il 10% delle famiglie più ricche possiede il 46,6% delle ricchezza netta familiare totale. E nel mondo va ancora peggio: nel 2016 l’1% della popolazione sarà più ricco del restante 99%, stando a quanto recentemente dichiarato da Oxfam. Bene, ma se l’1% della popolazione mondiale detiene il 50% della ricchezza totale, questo significa che il restante 99% potrebbe raddoppiare la propria ricchezza se solo quell’eccesso di accumulazione venisse redistribuito. E già, avete capito bene: raddoppiare! Ma noi per risolvere la questione inerente la disoccupazione in Italia non dobbiamo mica raddoppiare la nostra ricchezza! Abbiamo bisogno di diminuire l’orario di lavoro e riportare gli stipendi al livello precedente, integrando la diminuzione con una manovra redistributiva, che potrebbe essere finanziata prelevando la ricchezza da chi ne ha in eccesso. Tutto qui! D’accordo, ma di quanto dovrebbe diminuire l’orario? E soprattutto, quanto costerebbe complessivamente la manovra? Qualche tempo fa mi sono divertito a stimare nel modo più semplice possibile questi dati, ipotizzando di assumere qualche dipendente pubblico per compensare l’ammanco di servizi dovuto alla diminuzione del loro orario (i calcoli sono disponibili all’interno del blog). Stando alle mie valutazioni, per risolvere la disoccupazione in Italia (dato Istat ufficiale 12,6%) sarebbe sufficiente lavorare 1h al giorno in meno, mentre il costo per integrare i redditi dei lavoratori (in modo da non farli diminuire) ed assumere 500 mila nuovi dipendenti pubblici (necessari per offrire il medesimo numero di ore di servizi pubblici), sarebbe complessivamente di circa 70 miliardi di euro all’anno. Quei valori potranno essere certamente ricalcolati in modo più accurato ma, come dicono i fisici, visti gli ordini di grandezza ottenuti, possiamo concludere che è realmente possibile tornare tutti al lavoro. La soluzione al problema della disoccupazione quindi esiste ed è a portata di mano: dobbiamo semplicemente adoperarci affinché l’orario di lavoro venga diminuito mantenendo gli stipendi invariati, attuando una doverosa manovra di redistribuzione della ricchezza già esistente. Esattamente come sostenuto in quel famoso motto: lavorare meno lavorare tutti, ma (aggiungo) mantenendo gli stipendi invariati. Per compensare l’ammanco degli stipendi dovuto al nuovo orario lavorativo, si potrebbe pensare d’istituire un reddito d’esistenza, che consiste in una certa somma di denaro accreditata mensilmente a tutti gli individui di ogni età indipendentemente da ciò che fanno, solo ed esclusivamente per il fatto di esistere. Come (non) tutti sanno, il denaro è semplicemente un segno contabile memorizzato all’interno di qualche server di una banca, che viene creato dal nulla e a costo zero. Quindi, anche al netto dei doverosi meccanismi redistributivi già citati, dire che non ci sono soldi per finanziare una simile operazione è una pura assurdità. Guarda caso quando c’è da fare una guerra, o da rifinanziare il sistema bancario che è fallito, come per magia i soldi spuntano sempre fuori, e chissà come mai invece, quando si tratta di migliorare le condizioni di vita degli esseri umani all’improvviso tutto ciò non è più possibile! Non abbiamo bisogno di “più lavoro” per risolvere il problema della disoccupazione; al contrario, visti gli eccessi consumistici e le innumerevoli apparecchiature soggette ad obsolescenza programmata, nell’ingiusta ed inefficiente società capitalistica di lavoro ce n’è addirittura in eccesso e anche di consumo, ovviamente. Le due cose sono correlate: più consumiamo e più dobbiamo lavorare, ma più consumiamo più inquiniamo; più lavoriamo e meno tempo abbiamo per vivere; più lavoriamo, più inquiniamo e più ci ammaliamo… e così facendo peggioriamo drasticamente le condizioni di vita dell’intera umanità. In Tv invece ci dicono che il lavoro nobilita l’uomo e che il lavoro è salutare; che l’Italia è fondata sul lavoro e che quindi lo scopo è di garantire un lavoro a tempo pieno a tutto il popolo, uomini, donne e anche ragazzi/e, che ovviamente potrebbero lavorare d’estate, sacrificando il periodo delle vacanze scolastiche! Si tratta d’una palese follia sociale, figlia di qualche mente malata di profitto, che non guarda minimamente al benessere degli esseri umani. Se invece eliminassimo l’iper-consumo, ad esempio sostituendo tutti i beni scadenti e soggetti a obsolescenza con altri durevoli e di elevata qualità, nel medio-lungo periodo di lavoro ce ne sarebbe ancor meno, pur potendo continuare a disporre dei beni di cui avremmo bisogno. Tutto ciò si tradurrebbe in un minor lavoro ed in una diminuzione dell’inquinamento ambientale, quindi in maggior tempo libero per vivere la vita e in una ritrovata salute fisica. Mica male!?! Considerando che le automazioni e le IA andranno a sostituire sempre di più gli esseri umani nelle loro funzioni, comprendiamo ancor meglio che di lavoro ce ne sarà sempre di meno, per nostra fortuna. Sì, avete capito bene: per nostra fortuna! Fate attenzione, il vero problema non risiede nel lavoro che manca o in quello che mancherà, ma nell’odierna visione socio-economica adottata nei confronti del lavoro, che rappresenta una vetusta impostazione ottocentesca che non è più in grado di stare al passo con i tempi. D’altronde non c’è da stupirsi, il fine del capitalismo non è il raggiungimento del benessere collettivo o l’incremento della felicità, bensì la legittimazione e l’accrescimento della ricchezza e del potere di un’élite, che da sempre si avvale di un ingiustificabile sfruttamento di esseri umani e di risorse comuni. Ecco perché il capitalismo, con la sua visione economica neoliberista volta al profitto, dimostra sempre più di essere totalmente incapace quando si tratta di cogliere le straordinarie opportunità che si prospettano per il nostro futuro, e che potrebbero finalmente elevare gli esseri umani a una condizione di abbondanza, benessere e libertà inimmaginabili fino a qualche decennio fa.
Mirco Mariucci