Migrantes: Parlano i numeri

di Antonella Policastrese

L’ultimo carico di disperati giunto a Crotone, risale al 6 giugno. Poco più di 600 migranti, immediatamente ripartiti tra Piemonte, Veneto, Liguria e Basilicata. Nel centro di accoglienza di S.Anna ne sono rimasti 160, ovvero una quota di poco superiore a quella assegnata rispettivamente alle tre regioni del nord. E’ una inconfutabile verità che le regioni del sud sopportano il peso maggiore dell’inesauribile esodo biblico in corso. Il primato spetta alla Sicilia, che ospita il 22 per cento dei migranti che arrivano in Italia. Le cronache di questi giorni fanno registrare la protesta delle ricche regioni del nord contro la decisione di destinare in quelle aree un ulteriore carico di migranti. Maroni in Lombardia; Zaia in Veneto e Toti in Liguria sostengono di avere già dato e di non essere disponibili ad accoglierne altri. Per tale motivo vengono definite le regioni meno ospitali; e ovviamente non ci stanno a questa che, secondo le proprie stime in termini di numeri, è una infamante accusa da respingere al mittente. I più poveri, cioè siciliani, calabresi, molisani e lucani, ospitano il maggior numero di migranti rispetto ai connazionali del nord. Italiani del sud, brava gente dunque, ma forse la questione del momento, ovvero l’apocalittica emergenza profughi che sta investendo l’Italia e la conseguente grande accusa nei confronti di chi non è più disponibile a comprendere e sostenere le ragioni dell’accoglienza, non conferma in alcun modo l’assioma che al sud siamo più buoni, non razzisti, generosi e ospitali. Esiste un rovescio della medaglia: “…Economia, economia Orazio… l’arrosto del pranzo nuziale è servito freddo al banchetto funebre”. Sono le parole del più grande drammaturgo di tutti i tempi; ovviamente riferite a ben altro contesto e con un’accezione più diretta del termine economia. Perché la parola economia si riferisce soprattutto al complesso delle risorse disponibili e dell’attività diretta alla loro utilizzazione, in un determinato ambito geografico, politico, amministrativo. Ne deriva che i flussi migratori, l’esodo biblico in corso, è utilizzato a fini economici dalle aree più arretrate e più povere del Paese. I migranti arrivano, carichi di speranze e illusioni, mettendo piede nelle zone dell’Italia che davvero poco hanno, se non il nulla, da offrire alle aspettative di chi fugge dalla fame e dalla guerra. Anzi, non è azzardato ipotizzare che se l’esodo in corso avesse fine, l’economia delle regioni più povere (e più ospitali) del sud, farebbe registrare un ulteriore e definitivo crollo. Dunque i migranti sono una risorsa per il sud , sulla quale fondare un modello economico: quello dell’accoglienza. Sul fronte della spesa complessiva per la gestione del fenomeno, si va dai costi derivanti dalle operazioni di soccorso in mare a quelli di prima assistenza nelle strutture sanitarie del territorio, finendo ai denari che occorrono per i trasferimenti su e giù per l’Italia e per le pratiche amministrative e di polizia. Sarebbe fare le pulci tradurre queste operazioni, vitali nel soccorso dei profughi, in termini economici, ma i bene informati dicono che la relativa spesa spinge verso i due miliardi di euro all’anno il fabbisogno economico dell’Italia per affrontare il problema profughi nel suo complesso. Si tenga presente che lo “sforzo” economico sopportato dalla UE è stato incrementato recentemente sino a 18 miseri milioni di euro. Ad oggi sono 77 mila circa i migranti presenti nei centri temporanei, nei “cara”, nelle diverse strutture messe a disposizione dalla rete di amministrazioni locali . Perché per ogni profugo giunto in Italia e ospitato nei centri di accoglienza, occorrono mediamente 45 euro al giorno per il mantenimento. In attesa che le richieste d’asilo vengano accolte e che ogni profugo sia libero di inoltrarsi alla ricerca di un avvenire nell’inospitale Europa; il numero di presenze nei centri d’accoglienza si mantiene costante tutto l’anno, raggiungendo spesso il sovraffollamento. Questo anche perché i migranti che ottengono lo status di profugo, o che proseguono clandestinamente il loro viaggio, sempre più spesso vengono rifiutati dagli altri paesi europei e quindi ricondotti in quella terra dove erano approdati, cioè in Italia, ai sensi e per gli effetti dei cosiddetti “accordi di Dublino”. Volendoli però fare quei due conti, la spesa complessiva al giorno, per il mantenimento dei centri dislocati in tutta l’Italia, è di circa 3 milioni e mezzo di euro che all’anno fa oltre un miliardo e due di euro. Questa cifra è frutto di una normalissima contrattazione tra chi chiede e chi offre il servizio. Il sud non avrebbe possibilità alcuna di offrire opportunità di piena integrazione ai migranti che arrivano, giacché non ne esistono, soprattutto in termini di posti di lavoro, neppure per i propri figli. Mentre le regioni del nord sono additate di egoismo e ingenerosità e richiamate al dovere dell’accoglienza, quelle dicono di essere sature,ma è che forse due verità, inscindibili e indivisibili, convivono. Se tutto questo dovesse finire, se davvero l’emergenza (che dura ormai da un decennio) cessasse e non arrivassero più migranti; quale sarebbe mai il più fiorente comparto produttivo delle generose regioni del sud; quale forma di intrapresa potrebbe rimpiazzare l’industria dell’accoglienza costruita in questi anni, battezzata con nomi e funzioni diverse per il medesimo scopo sociale. L’altra verità è quella che appartiene alle regioni del nord e che, particolarmente in questi ultimi giorni, i governatori tentano di dimostrare con numeri, statistiche, tabelle e soprattutto con eloquenti immagini, come quelle della stazione centrale di Milano. In Lombardia, secondo le elaborazioni della Fondazione Leone Moressa, risiedono oltre un milione di stranieri; a seguire vi sono Lazio, Emilia Romagna e Veneto. Agli ultimi posti Valle d’Aosta e Molise, con circa 10mila stranieri. Se si considera però il rapporto numerico con la popolazione, è l’Emilia Romagna la regione che presenta la più alta percentuale di immigrazione regolare, il 12 per cento, e quindi la classifica, stilata in ragione della popolazione complessiva, vede la Lombardia, l’ Umbria, il Lazio, il Veneto e la Toscana immediatamente dietro la regione emiliana. Nelle “generose” regioni del sud, i poveri migranti sono una manna dal cielo per gli indigeni, ammesso che il cielo preveda e possa tollerare fenomeni di sfruttamento lavorativo e anche (come accaduto in Sicilia) di schiavitù di ogni genere, compresa quella sessuale. Ma, come detto, il sud non ha scelte e tantomeno opportunità lavorative e di integrazione da offrire. Molto meglio, anche qui da noi, è andata per i migranti che provenivano dall’est Europa e per i nordafricani che hanno avviato attività economiche in proprio, quasi esclusivamente nel commercio. Nella “generosa” Crotone, nel cui territorio provinciale ricade uno dei più grossi centri d’accoglienza esistenti in Europa, le opportunità lavorative offerte ai migranti consistono nella libertà di chiedere l’elemosina ai parcheggi; di portare le borse della spesa alle massaie in cambio di qualche monetina e di fare le treccine rasta facendosi pagare qualche spicciolo. Le “attività lavorative” che vedono coinvolti i migranti, non vanno oltre. Quanto era comunque riuscito ai migranti dell’Est; agli albanesi; agli asiatici, cioè di trovare un lavoro accettabile, tra quello di badante e quell’altro di muratore nelle povere terre del sud, davvero non riesce a eritrei, somali, nigeriani, etiopi ecc.. Comunque sia, la Calabria è il fanalino di coda per quanto riguarda l’inclusione lavorativa degli immigrati; in testa alla classifica vi sono il Lazio e la Lombardia; ciò comporta anche che le due regioni facciano registrare il più alto tasso di disoccupazione degli stranieri, per via della persistente crisi che sta compromettendo irreparabilmente l’apparato produttivo del centro-nord e che sta seppellendo letteralmente il profondo sud. In definitiva, con il defilarsi degli altri stati della UE rispetto al problema immigrazione; con il persistere ed insistere delle linee di rigore imposte dall’Europa; con il permanere a capo dello Stato italiano di una leadership rivelatasi satrapia, questa nostra povera Nazione, come un barcone nelle azzurre acque del Mediterraneo,sta affondando, con il suo carico di disperati ai quali altri disperati con un diverso colore della pelle, si sono aggiunti. Lassù; nella cabina di comando di questo immenso barcone, un emulo di Schettino, già sindaco di Firenze e ora presidente del Consiglio, regge saldamente il timone. E le prospettive, ipotizzate da autorevoli membri di Governo, parlano di una emorragia migratoria che per il 2015 si chiuderà con un saldo di almeno 250 mila uomini, donne e bambini in fuga. Si ipotizza altresì il ricorso a campi di accoglienza attrezzati, laddove non dovessero bastare le vecchie caserme (da ristrutturare). Frattanto il Governo di Matteo Renzi taglia 4 miliardi alle regioni e un miliardo alle agonizzanti province. L’Italia è dunque sotto assedio; è in guerra; ma le istituzioni territoriali vengono private dei mezzi essenziali per affrontare la situazione. L’esodo biblico, questo travaso di continenti prosegue; il declino dell’Europa unita non si arresta.

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