Morte alimentata

di Antonella Policastrese

mortiScorrono le immagini della tv ferme su quei corpi privi di vita che pietosamente il mare ha restituito. Donne incinte e bambini tra quei morti, ridotti ormai a miseri stracci. Speranze naufragate su quel tratto di costa trasformatosi per i migranti in teatro di morte. Grida di paura e occhi pieni di terrore prima che la vita li abbandonasse per sempre. “Vita invoco e morte risponde” si può sintetizzare così la tragedia verificatasi al largo di Lampedusa, dove hanno perso la vita novanta persone all’incirca. Tragedia senza fine, un’apocalisse che investe quanti cercano salvezza su una terra che sembra respingerli e che coinvolge anche quanti si prodigano in ogni modo per tendere una mano a quella marea umana, a chi cerca di vivere una vita degna di tale nome. Vittime innocenti per questo esodo senza fine. I migranti non sono guidati da Mosè, ma ostaggio di spietati mercanti di carne umana, pronti a frustarli per farli scendere in mare e abbandonarli alla deriva. Urlano le coscienze, non rimangono impassibili. Chi vive nella sofferenza, sa cosa significhi un filo di speranza utile per lottare e cambiare il corso di un destino che a quanto pare tesse la sua tela imbrigliando il desiderio di una terra promessa sul cui capo le acque si chiudono per sempre. Non si può continuare a guardare, non si può essere spettatori mentre la morte falcia la vita. È ora di dare risposte a quei bisogni diventati bisogni di tutti, anche nostri. In questo tempo senza pace sembra essere stato dimenticato il valore della vita e la necessità di non lasciarsi andare. Tempo fa la figlia della ministra Kyenge aveva detto ai giovani di viaggiare per allargare la mente. Cosa direbbe oggi a quei tanti giovani, donne e bambini che messisi in viaggio, per ben altre esigenze, hanno trovato solo morte? Se solo lo spauracchio dei “mercati” desse tregua alle persone, lasciandole libere di sentirsi tali e non mercè o pacchi postali, probabilmente sarebbe tutto più semplice. Esiste un aeroporto vicino al centro d’accoglienza S. Anna di Crotone. Si potrebbe utilizzare per trasportare in voli di fortuna, senza lasciarli nelle mani dei nuovi negrieri, questa gente verso l a destinazione agognata. L’Europa, quel meccanismo infernale del quale siamo vittime tutti, potrebbe sborsare i quattrini per realizzare un’opera simile, la ministra Kyenge o il governo che rappresenta, potrebbe adoperarsi mettendo a disposizione le proprie doti, ma tutto questo oggi è solo fantascienza. Non è più tempo di aspettare, tanto meno guardare e permettere che gente inerme fiaccata dalle tribolazioni arrivi in Italia per rimetterci le penne.

Andarli a prendere direttamente con traghetti ed aerei laddove essi si trovano, caricando i costi di tale operazione interamente alla BCE (Banca Centrale Europea) , giacché le banche, anche quelle abitate dai peggiori vampiri, di solito si danno un tocco di umanità attraverso donazioni e attività benefiche. A parte che dovrebbe essere un dovere precipuo anche della cassaforte d’Europa accollarsi l’onere, il disonore ed i dissapori di quell’aspetto infernale della globalizzazione conosciuto come migrazione di massa. Se vogliamo lasciarci alle spalle, come truce ricordo, carrette del mare, scafisti e naufragi, potrebbe essere nell’organizzarne logisticamente l’esodo la soluzione al dramma dei profughi, cioè di coloro che fuggono dalla fame, dalla guerra e dalla dissoluzione sociale ed economica delle aree geografiche di appartenenza. Sappiamo che nei loro paesi non ci sono le condizioni per vivere, l’occidente li accoglie, ma da clandestini, purché i profughi ed i migranti il suolo della civile Europa lo tocchino a sua insaputa. Poi diventano una risorsa, poi ci si batte per dare ai migranti ed ai profughi diritto di cittadinanza e poi…e poi c’è tempo, opportunità e modo di dirlo che tolgono il lavoro ai milioni di altri cristi autoctoni , ai 4 milioni di disoccupati di una determinata nazione come l’Italia, per esempio. Se si vorranno evitare altre tragedie come quella dell’isola del Coniglio, davanti Lampesusa, allora sarà bene che sia impedito, offrendo alternative di trasporto in sicurezza, a quei milioni di poveri disgraziati di affrontare il mare su gusci di noce e di dare in pasto a negrieri senza cuore il ricavato delle povere cose vendute in patria per comprare un biglietto per salire a bordo di navi rabberciate. Le scorciatoie verso quello per loro sembra un paradiso non devono più passare attraverso rotte d’inferno. Andiamoli dunque a prendere, con partenze giornaliere, con aerei e traghetti, perché tanto loro non si fermeranno; il rischio di non farcela è meglio della certezza di morire; di fame o di guerra, non importa; perché tanto quello è. Qualcosa di simile alla tragedia al largo di Lampedusa era accaduto la notte di Santo Stefano del 1996 a Portopalo in provincia di Siracusa; salvo notizie certe, al momento, il tragico primato di morti accertati appartiene ancora al naufragio della nave Yohan, con le sue 283 vittime, provenienti da India, Pakistan e Sri Lanka. Quella nave fungeva appunto da traghetto, prelevava cioè il carico umano di migranti da natanti più piccoli; una sorta di battello di Caronte, il cui ultimo viaggio, l’ultimo tragico trasporto, ebbe fine il 28 febbraio del 1997 vicino Reggio Calabria. Da quella tragica esperienza in poi, ci sarebbe stato tempo per porre rimedio, ma invece il tributo pagato al mare da questi profughi e migranti, ad oggi, è di almeno 6500 tra uomini, donne, ragazzi e bambini. Tutto è salvo adesso, tranne l’onore dell’ Europa dalla quale, almeno in questo, l’Italia , soprattutto del profondo sud, per fortuna si distingue.

Antonella Policastrese

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