Sovranità dei popoli o sovranità del denaro?

di Augusto Grandi

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Sovranità. E’ diventata la parola d’ordine di tutti coloro che si oppongono (o dicono di farlo) allo strapotere delle multinazionali, degli speculatori, delle Troike varie ed assortite.

Si marcia in difesa di una sovranità persa 70 anni or sono. Si comizia in nome di una sovranità monetaria scomparsa prima dell’introduzione dell’euro. Va tutto bene, meglio tardi che mai. Ma non sarebbe male che, ogni tanto, si passasse dai grandi proclami a qualche modesta indicazione concreta. Quale sovranità, a quale livello? Dove i cittadini possono essere tali senza diventare sudditi? Perché sui grandi temi in tanti possono essere d’accordo ma  sulla realizzazione pratica nascono poi i contrasti. Dove la democrazia, basata sui grandi numeri, si trasforma in oppressione nei confronti di chi ha numeri più piccoli? La sovranità basata sui numeri e non sulle persone? L’Italia ha tanti paesi di montagna, con pochi abitanti. E poche grandi città con tanti abitanti. Perché mai le città dovrebbero imporre le loro regole ai Paesi in nome degli interessi dei tanti numeri anche se i cittadini ignorano i problemi degli abitanti dei piccoli borghi? La Tav, ad esempio. Si sacrificano gli interessi delle popolazioni locali in nome del supremo interesse del trasporto delle merci. Sorvolando sugli interessi mafiosi, raccontati nel romanzo “Nero Tav” del giornalista de La Stampa, Giorgio Ballario. Ma fingiamo che la Tav sia strategica. Però non può essere spacciato per strategico un parco, del Monviso, bocciato dai consigli comunali della zona e approvato dalla Regione Piemonte. Dov’è il rispetto della sovranità delle popolazioni? Sacrificato in nome di cosa? Del diritto dei cittadini di godere di un luogo di divertimento da cui devono essere espulsi gli abitanti per non infastidire la natura selvaggia? Lo stesso diritto che è alla base di orrende funivie sui monti e della distruzioni di vallate incontaminate per consentire a tutti di godere di questi paesaggi? La conquista di una vetta non è un diritto, proprio perché è una conquista. Chi ce la fa, arriva. Chi si impegna, arriva. Come non è un diritto ottenere una medaglia d’oro in una qualsiasi competizione sportiva. E lo stesso vale per lo sci. Si vogliono portare più sciatori in alto, nel nome del business e con la scusa che quattro piloni non deturpano una valle? Ma almeno non si distrugga la valle con piste che scempiano il terreno. Si lasci la discesa a chi è in grado di affrontarla anche in neve fresca o su percorsi difficili. Invece, in questi casi, la sovranità del denaro prevale su ogni altra considerazione. E sarebbe il caso che i ritrovati sovranisti chiarissero da che parte stanno.

   Augusto Grandi

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