STORIA DELLA FEDERAL RESERVE

Parte 1

di Alessandro Trinca

Una doverosa premessa:

buona parte di questo lavoro è stata realizzata prendendo spunto dalla traduzione italiana del documentario “The Money Master”, tratta dal sito www.signoraggio.com e dalla parte III del documentario Zeitgesist: “Non prestare attenzione agli uomini dietro le quinte”.

Altri contenuti sono frutto di studi e riflessioni personali dell’autore, così come l’intera ideazione, elaborazione e realizzazione del documento.

Tutte le citazioni ufficiali sono state fedelmente riportate nel testo.

Alessandro Trinca

PARTE 1

Il controllo sulla creazione della moneta è sempre stato il principale strumento di potere nel corso della storia, persino maggiore del potere di legiferare, perché consente di imporre allo Stato la politica da attuare e le scelte da mettere in campo, in quanto il denaro rappresenta il mezzo attraverso cui gira tutta l’economia.

Le forze che mirano al dominio del mondo hanno quindi sempre cercato di impossessarsi di tale funzione e, nella maggior parte dei casi, lo hanno fatto accentrando un un’unica istituzione, denominata Banca Centrale, sotto il loro diretto controllo, il potere di emissione della moneta e la gestione delle politiche di circolazione del denaro.

In particolare in questo documento ci occupiamo di ricostruire le principali tappe e i momenti critici che nel corso della storia hanno portato alla costituzione di quella che oggi si chiama Federal Reserve, ossia la Banca Centrale Americana, che non ha nulla né di riserva, né di federale, bensì è una Società per Azioni a scopo di lucro detenuta da privati.

Un po’ di storia…

Verso la metà del 1700, l’Impero Britannico si stava avvicinando all’apice del suo potere nel mondo. A partire dalla creazione della Banca Centrale d’Inghilterra, di proprietà privata, la Gran Bretagna aveva combattuto quattro guerre, il cui elevatissimo costo aveva costretto il parlamento inglese a contrarre pesanti debiti con la Banca, gravati naturalmente dai relativi interessi: alla metà del ‘700 il debito del governo britannico ammontava a 140 milioni di sterline, una cifra astronomica per quell’epoca. Allo scopo di ripagare gli interessi verso la Banca, il governo britannico mise in atto un’intensiva politica di prelievo fiscale dalle colonie americane.

In quell’epoca in America le cose andavano in maniera decisamente diversa in quanto non esisteva ancora una banca centrale di proprietà privata e le colonie, a causa di una grave penuria di monete metalliche preziose da utilizzare per l’acquisto di beni, avevano iniziato a sperimentare la stampa di una propria valuta cartacea locale, denominata “certificato provvisorio coloniale”, costituito da cartamoneta, ossia denaro esente da debito, stampato per soddisfare gli interessi della popolazione e non sostenuto da riserve d’oro o d’argento: si trattava quindi di una moneta a corso forzoso (cioè denaro privo di valore intrinseco e non convertibile in altri beni).

Alcuni di questi esperimenti ebbero grande successo perché rappresentavano un mezzo di scambio affidabile e, allo stesso tempo, aiutavano a suscitare un sentimento di unità tra le colonie.

Benjamin FranklinTra i principali sostenitori di questo tipo di moneta vi fu Benjamin Franklin, il quale, inviato a Londra nel 1757, spiegò ai funzionari della Banca Centrale d’Inghilterra il perché della ritrovata prosperità della colonie: “È semplice. Nelle colonie stampiamo la nostra moneta, chiamata certificato provvisorio coloniale. La emettiamo in quantità appropriate rispetto alla domanda del commercio e dell’industria per far sì che i prodotti passino facilmente dal produttore al consumatore. In questo modo, creando noi stessi la nostra cartamoneta, ne controlliamo il potere d’acquisto e non dobbiamo pagare interessi a nessuno.” – Benjamin Franklin, discorso alla Banca d’Inghilterra del 1957 – cfr. “The Theory of Livevolution: “Great” Society of the Un-dead”, di Robert Roselli, ed. Xulon Press 2008, p. 55.

Per porre un argine a questa ondata di benessere oltreché per fronteggiare i pesanti debiti contratti con la Banca d’Inghilterra a seguito delle guerre, nel 1764 il parlamento inglese approvò il Currency Act, con il quale veniva proibito ai funzionari delle colonie di emettere la propria moneta e veniva loro imposto il pagamento di tutte le tasse in monete d’oro e d’argento, obbligando quindi le colonie ad abbandonare il corso forzoso per passare al sistema aureo e argenteo. Ciò portò, nell’arco di appena un anno, ad un periodo di forte depressione caratterizzato da un elevatissimo tasso di disoccupazione nelle colonie; nella sua autobiografia Franklin sostiene che questo fatto costituì la causa principale della Rivoluzione Americana: “Le Colonie avrebbero sopportato di buon grado la ridotta tassa sul the e su altre materie prime, se l’Inghilterra non avesse tolto alle Colonie stesse la loro moneta, creando così disoccupazione e malcontento. L’impossibilita per i coloni di poter stampare la propria moneta affrancandosi in modo permanente da Giorgio III e dai banchieri internazionali fu il motivo della Guerra di Rivoluzione.” – Benjamin Franklin – tratto dall’Autobiografia di Benjamin Franklin, cfr. anche “The Theory of Livevolution: “Great” Society of the Un-dead”, di Robert Roselli, ed. Xulon Press 2008, p. 55

guerra indipendenza americanaIl 19 aprile 1775 scoppiò la guerra d’indipendenza e le colonie, prosciugate dell’oro e dell’argento dalla tassazione britannica, si trovarono a dover risolvere il problema di come finanziare l’esercito che l’avrebbe combattuta. L’idea di ricorrere alla tassazione dei cittadini non fu presa nemmeno in considerazione (considerato anche che l’imposizione di tasse inique da parte dell’Inghilterra era stata tra le principali cause del conflitto), il Congresso decise pertanto di ricorrere alla stampa di una moneta di carta, il “Continental dollar”, e di immetterla sul mercato con la promessa di accettarlo in pagamento per eventuali tasse future. Quello era anche il metodo scelto per “stabilizzare” la quantità di banconote in circolazione: si chiedeva infatti ai singoli stati di ricorrere alla tassazione per “ritirare dal mercato” quei certificati e dar modo così al Congresso di stamparne altri senza che questi si deprezzassero eccessivamente (da questo passaggio si comprendono molto bene due dei principali compiti delle tasse, che, come si evince chiaramente, non servono assolutamente a finanziare la spesa pubblica, la quale è sostenuta molto semplicemente dal denaro stampato di volta in volta dallo Stato, bensì a far accettare all’intera popolazione la valuta di stato e a controllare la quantità di moneta in circolazione rispetto ai beni e ai servizi acquistabili con la stessa, al fine di evitare inflazione e deprezzamenti). In un primo momento molti governi coloniali ottemperarono alla richiesta di dichiarare i Continental valuta legale; successivamente, però, gli stessi si rifiutarono di imporre nuovi tributi facendo sì che rimanessero in circolazione troppi certificati, deprezzandosi nei confronti dei “dollari di metallo” ogni giorno di più; inoltre l’Inghilterra, sotto la pressione dei Rothschild, causò il tracollo inflazionario di tale moneta immettendone una quantità falsificata pari almeno al doppio del fabbisogno calcolato (si parla addirittura del sequestro di numerosi vascelli inglesi contenenti denaro falsificato).

All’inizio della Rivoluzione l’offerta monetaria degli Stati Uniti si attestava intorno ai 12 milioni di dollari, alla fine della guerra raggiunse quasi i 500 milioni e la valuta non aveva più praticamente alcun valore (ad esempio un paio di scarpe costava 5.000 dollari). In passato il certificato provvisorio coloniale aveva funzionato in quanto veniva emessa una quantità di valuta appena sufficiente a facilitare il commercio, ma la totale perdita di controllo causata dalla guerra aveva alterato irrimediabilmente gli equilibri economici causando un’inflazione insostenibile.

Nel Novembre 1779, il Congresso annunciò la svalutazione dei Continental e alla fine concordò di convertirli in dollari spagnoli (la moneta metallica allora più diffusa in America), indebitandosi per circa 7 miliardi di dollari (una cifra astronomica per l’epoca).

Oggi i principali sostenitori di una valuta basata sulle riserve d’oro, indicano maliziosamente questo periodo della Rivoluzione per dimostrare gli svantaggi di una moneta a corso forzoso, ma ciò non deve ingannare: la moneta a corso forzoso aveva funzionato benissimo per vent’anni in tempo di pace, prima che la Banca d’Inghilterra l’aveva fatta dichiarare illegale dal Parlamento; fu solo a causa della guerra che l’America ebbe problemi di carattere economico. Se ben organizzata, la moneta a corso forzoso è il miglior strumento di prosperità per una nazione, poiché è completamente esente da debito e consente allo Stato di organizzare autonomamente la propria politica economica senza essere ricattabile, in quanto ha IN OGNI MOMENTO la possibilità di attuare investimenti strategici e funzionali per tutelare gli interessi dei propri cittadini. In questo modo, venendo meno tutte le dinamiche legate all’indebitamento dello Stato, il benessere della nazione dipende esclusivamente dalla qualità della spesa).

Fatto questo piccolo ma doveroso inciso, torniamo ai fatti storici.

Dunque, in aggiunta alla sua emissione di valuta, il Congresso continentale prese in prestito denaro sia internamente che all’estero e il debito del Governo raggiunse proporzioni insostenibili. L’interesse su questo debito era pagato principalmente con denaro ricevuto dalla Francia e dall’Olanda come parte di prestiti separati.

america esanguePertanto, verso la fine della Rivoluzione il Congresso si trovò ad avere un bisogno disperato di fondi e nel 1781 Robert Morris, l’allora sovrintendente finanziario del congresso, colse al volo l’occasione per proporre la creazione di una banca centrale alla quale sarebbe stato affidato in via esclusiva il monopolio dell’emissione della moneta, con la falsa promessa di ridare stabilità economica alle colonie attraverso il controllo centralizzato della politica monetaria, grazie al quale non si sarebbero più verificati momenti di caos come quello appena trascorso (l’intenzionale e machiavellica instaurazione del panico sarà più volte utilizzata nel corso della storia al fine di convincere i cittadini a cedere pezzi sempre più importanti di sovranità nazionale).

Aperta ufficialmente il 7 gennaio 1782 e denominata “Banca del Nord America”, la nuova banca ricalcava da vicino il modello della Banca d’Inghilterra. Ad essa fu consentita la pratica della riserva frazionaria, cioè il potere di prestare denaro che non possedeva (inventandoselo dal nulla) ed applicare su di esso degli interessi (il meccanismo della riserva frazionaria stabilisce che una banca ha l’obbligo di detenere nelle proprie casse solo una percentuale dei depositi, ad esempio il 10%; pertanto, su un deposito di 100 $ la banca stessa ha facoltà di tenerne 10 e prestare gli altri 90 accreditandoli sul conto di un altro correntista; in questo modo, dagli iniziali 100 $ reali vengono accreditati conti correnti per un totale di 190 $, così che se tutti i correntisti andassero a prelevare i propri averi scoprirebbero molto semplicemente che in parte non esistono! Questo meccanismo, che si ripete per numerosi passaggi, fa sì che per ogni deposito reale di denaro si generi una quantità di moneta creata dal nulla (e prestata con interessi) nove volte superiore. Se un normale cittadino provasse a fare una cosa del genere sarebbe immediatamente arrestato per frode!).

Lo statuto della banca richiedeva la costituzione di un capitale iniziale di 400.000 dollari, che sarebbero dovuti provenire da investitori privati. Quando però Morris non fu in grado di trovare il denaro, utilizzò spudoratamente la propria influenza politica per ottenere che il finanziamento necessario fosse preso dall’oro che era stato prestato all’America dalla Francia, utilizzando di fatto il denaro dello Stato per i propri interessi (primo esempio di come pochi uomini di potere utilizzino il denaro della collettività esclusivamente a proprio beneficio, facendo poi ricadere sulla collettività stessa le conseguenze negative in termini di indebitamento).

Presto i pericoli diventarono evidenti e quattro anni più tardi, nel 1785, il documento di concessione della banca non venne riconfermato, mettendo fine alla minaccia dello strapotere della banca stessa.

William FindleyIl leader di questo efficace sforzo per affossare la banca fu un patriota di nome William Findley, della Pennsylvania, che spiegò così il problema: “Questa istituzione, non avendo altro principio che la cupidigia, non cambierà mai i propri obiettivi… monopolizzare tutta la ricchezza, il potere e l’influenza dello stato. La plutocrazia, una volta attestatasi, avrebbe corrotto la legislatura in modo che le leggi sarebbero state formulate a suo vantaggio e l’amministrazione della giustizia avrebbe favorito i ricchi.” – William Findley – cfr. “Republic of Debtors: Bankruptcy in the Age of American Independence”, di Bruce H. Mann, ed. Harvard University Press 2009, p. 173.

 … segue nella parte 2

STORIA DELLA FEDERAL RESERVE Parte 1 di Alessandro Trinca

2 pensieri su “STORIA DELLA FEDERAL RESERVE Parte 1 di Alessandro Trinca

  • 29 Dicembre 2022 alle 20:12
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    Complimenti….questa è la storia che si dovrebbe insegnare nelle scuole sin dalla prima infanzia

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  • 29 Dicembre 2022 alle 20:13
    Permalink

    Dovrebbero farci un documentario informativo e divulgarlo in TV

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