Un Extraterrestre a Roma

di Michele Signa

ufoL’astronave atterrò nottetempo e senza alcun rumore in una spianata oltre i confini del grande raccordo anulare. L’Essere ne discese rapido azionando il comando che rendeva la grande nave completamente invisibile. La luce bluastra che emanava dal suo corpo immateriale illuminò la campagna per alcuni metri. Man mano che si allontanava dalla nave la luce andò affievolendosi fino a scomparire permettendo all’Alieno di muoversi invisibile nell’oscurità. Avanzava agile e leggero non appesantito dal corpo materiale che miliardi di anni di evoluzione avevano ormai eliminato.
A seconda degli stati d’animo e delle necessità l’Essere poteva manifestarsi come una sfera luminosa, una sagoma appena palpabile, dai contorni indefiniti o, se lo desiderava, solidificarsi in una forma materiale assumendo l’aspetto che più desiderava.
Superato il grande raccordo, a quell’ora della notte quasi deserto, si inoltrò nella periferia della grande città, Roma, obiettivo della sua missione. Dopo molti anni di ricerche, condotte scandagliando gli enormi spazi siderali dell’Universo, era stato individuato, nascosto nelle profonde spirali della Via Lattea, un minuscolo pianeta abitato da organismi abbastanza evoluti da meritare, forse, di essere accolti nell’intelligenza collettiva che da secoli si stava aggregando ed espandendo tra le galassie e di cui l’Essere era una parte e il tutto al tempo stesso. La zona di atterraggio era stata scelta attentamente e corrispondeva al luogo, sulla terra, dove le testimonianze dell’evoluzione dell’intelligenza umana erano più abbondanti, Roma. Mentre procedeva verso il centro della città l’Essere ammirava compiaciuto le strade e i palazzi che mostravano, passo dopo passo, i progressi compiuti dalla civiltà di quel pianeta. Monumenti, chiese, palazzi, statue confermavano le informazioni raccolte e l’opportunità di procedere a un’indagine più approfondita sugli abitanti del pianeta azzurro. L’alba iniziava a rischiarare il cielo e le strade a popolarsi; l’Essere ritenne opportuno, per non dare nell’occhio, assumere l’aspetto di un umano maschio di mezza età. Doveva entrare in contatto con gli individui di quella specie e prospettargli la svolta epocale, un nuovo stadio evolutivo: la fusione delle specie umana con l’intelligenza universale di cui egli era parte e tutto. Questo passaggio avrebbe donato all’umanità la beatitudine eterna, l’immortalità, l’annullamento del dolore e della sofferenza per accedere ad un livello di vita superiore, diventando parte di un organismo universale pur mantenendo la propria individualità. La sua missione richiedeva molta cautela: era necessario dare l’annuncio prima agli individui migliori, i più influenti di quella specie, affinché fungessero da guida per tutti gli altri. Entrò in un locale che sull’ingresso recava la scritta luminosa “Bar” e dove, a quell’ora, si erano radunati numerosi umani intenti a bere una bevanda scura e mangiare strane pagnotte a due corni, morbide e dal profumo delizioso. Anche nell’alimentazione si intravedeva l’avanzato stadio evolutivo di quella razza. L’Essere si avvicinò a uno degli umani appoggiato ad un alto bancone, intento a mangiare e con un sorriso, com’era consuetudine tra i suoi simili, abituati a convivere nella coscienza collettiva, gli chiese di condividere il pasto. L’umano lo guardò con gli occhi sgranati tirando indietro la pagnotta e dicendo;
– Aoh, ma pé chi ma’ preso? Pe’ Babbo Natale?
L’Essere non capì perché l’umano gli rifiutava la condivisione del pasto. La solidarietà, l’ospitalità, la comunione dei beni e la gentilezza verso i propri simili erano caratteristiche ben radicate nelle specie giunte ad un alto livello evolutivo.
Pensò di avere infranto qualche tradizione o regola di comportamento terrestri e pertanto, mostrando un sorriso ancora più luminoso, spiegò che egli non era del posto, era straniero e da poco arrivato in città, non aveva nulla da mangiare ne un ricovero dove dormire e si rivolgeva perciò agli abitanti del posto affinché gli offrissero ospitalità, un giaciglio per la notte e cibo per i giorni che avrebbe trascorso in loro compagnia.
Questa volta il fenomeno degli occhi sgranati si diffuse a tutti gli umani presenti nel locale chiamato Bar e subito dopo, tutti insieme, iniziarono a ridere fragorosamente.
Di nuovo l’uomo al bancone lo apostrofò con parole che non si aspettava;
– Anvedi questo! Chi ssei? Sei extracomunitario? Sei clandestino? T’ho sgamato! Perché invece de venì quà a rompe li cojoni nun ve ne restate a casetta vostra? Che ve credete? Solo pecché hai attraversato er mare su nà bagnarola noi te dovemo dà da magnà e magari te dovemo pure dà ‘n lavoro?
L’Alieno tentò di decifrare il significato delle parole che l’umano gli rivolgeva con atteggiamento bellicoso. Invero egli aveva attraversato il mare dello spazio profondo ma non riusciva a capire perché gli si negasse la dovuta ospitalità e lo si offendesse, accusandolo addirittura di cercare un lavoro.
– Perché mai, mio buon signore, oltre all’ospitalità che mi spetta dovrei anche desiderare un lavoro?
– Aoh ma stai a fa’ ‘r vago? Hai capito questo! Nun solo vole magnà a sbafo ma nun glie và manco de lavorà. E che te credi che quà stamo a pettinà ‘e bambole?
L’Alieno rimase stupito. Tornò a guardare fuori dal locale, ammirò la magnifica fontana proprio di fronte l’ingresso del Bar e ci vide i segni inequivocabili di una civiltà superiore. Una tale civiltà, per essere arrivata a costruire tali magnificenze, aveva certamente sviluppato sensibilità e tecnologia tali da non avere più alcun bisogno di lavorare. La sua specie, ormai da secoli, soddisfaceva i bisogni materiali con processi completamente automatizzati e aveva creato le condizioni affinché le intelligenze potessero fondersi e godere della bellezza della vita e dell’universo. Tornato verso l’uomo al bancone domandò con stupore;
– Come possono uomini di tale ingegno, da realizzare manufatti belli come la fontana che vedo proprio qui davanti, pensare di sprecare il loro tempo lavorando. Lei conosce chi ha realizzato questo superbo manufatto? Forse è a lui che devo rivolgermi?
– Me stai a pijà pe culo? E io che cazzo ne sò chi l’ha fatta sta robba. Sarà morto da n’pezzo. So cose vecchie quelle, nun le fa più nessuno.
Questa volta fu l’Alieno a sgranare gli occhi. Come poteva essere che le opere d’arte, i palazzi, i manufatti pregevolissimi non li faceva più nessuno.
Sicuramente aveva avuto la sventura di imbattersi in alcuni esponenti meno evoluti della specie, individui con menti ancora primitive;
– Sarebbe possibile parlare con i vostri capi? Ho bisogno di conferire con loro urgentemente.
– Boni quelli? Stanno qua dietro, s’o n’quattati a Montecitorio, o’ riconosci pecchè davanti c’è stà ‘n sacco de gente in divisa e co l’armi spianate.
– Armati? Perché, ancora usate le armi?
– E certo, mica quelli der Governo sò scemi! Se nun c’avevano gli sbirri armati a difennerli sai che culo gl’avevamo fatto!
– Perché? I vostri capi, coloro che vi guidano, hanno bisogno di essere difesi ? E da chi?
– Come da chi? Dai cittadini e da chi sennò? Quelli sò na manica de zozzi: s’abbuffeno, se fanno l’affaracci loro e a noi ciò mettono sempre ‘nquer posto. Tu forse sei extracomunitario e nu lo sai ma pe noi è sempre come scivolà su un tappeto de cazzi; ndo cadi cadi lo pij ar culo.
– Scusi ma i vostri capi non fanno il bene del popolo che governano? Non è loro preciso dovere morale farlo? E soprattutto, perché li fate comandare se non fanno il bene della specie?
– Si vabbè! Ma tu ‘ndò vivi? Apparecchia il culo per due che porto ‘n’amico! Ma l’hai capito o no che quelli se sò magnati tutto e a noi ce raccontano che c’è a crisi, che nun ce sò sordi e che dovemo dà risparmià! E noi nun famo niente, li lassamo fà, quà c’hai raggione Clandestino mio, il fatto è che semo de gran fregnoni e poi, pe dilla tutta, se ce fossimo noi al posto loro ce metteremmo a magnà pure noi, semo fatti così! Nun c’è gniente da fà!
– Ma non capisco, la vostra specie ha fatto i monumenti, le statue, i palazzi, non è possibile che vi siate ridotti in questo modo.
– E daje, quella è robba vecchia, t’ho detto! E poi ormai i monumenti, i palazzi, si sò vennuti tutti pè abbassà er debbito pubblico, dicono loro, ma a verità e che se sò messi d’accordo co n’altra manica de delinquenti fori dal’Italia pe fregasse tutto.
– Vuole dire che i vostri capi complottano contro i loro stessi simili per accaparrarsi le ricchezze del paese?
– Aoh, e sì le cose nun le sai …salle! T’ho detto che se sò ‘nventati a crisi, insieme a quel’artri amici loro in Europa che sò comunitari ma sò Zozzi e no Extra com’a te. Cò a crisi se sò pigliati tutto e noi, che nun c’avemo più un cazzo, se volemo magnà dovemo lavorà, più de prima e cò metà de sordi de prima. L’hai capita mò?
L’Alieno uscì dal Bar sconvolto e dovette far ricorso all’aiuto delle milioni di coscienze che contemporaneamente facevano parte di se e come lui avevano appena vissuto un’esperienza inaspettata e traumatica. Si erano sbagliati! Anni di ricerca che sembravano fossero stati coronati da un grande successo si rivelavano invece un sonoro fallimento. Per la prima volta nella storia dell’universo una specie, progredita fino a raggiungere un superiore stadio evolutivo, evidenziato dalla magnificenza delle arti, dal benessere diffuso, dalla tecnologia, con la felicità ormai alla portata di tutti aveva, contro ogni previsione, subito una terribile regressione. Invece di usare la tecnologia per liberare l’essere umano dalla schiavitù del lavoro, la usava per sottometterlo. Anziché creare un mondo ideale dove tutti potessero vivere felici e in armonia, coltivare le arti e la cultura, la solidarietà e la bellezza si erano consegnati inspiegabilmente alla barbarie. I loro capi, evidentemente regrediti insieme alla maggioranza della popolazione, vendevano la ricchezza e le bellezze del loro stesso paese in cambio di effimeri privilegi personali pronti a usare le armi per tenere a bada i loro simili derubati.
Mentre tornava alla sua astronave l’Essere era triste e abbattuto.
Comprendeva con disappunto che gli umani stavano tornando primitivi e non erano certo all’altezza di entrare a far parte dell’intelligenza collettiva che pulsava dentro e fuori di lui e che lo avvolgeva nell’eterna beatitudine. Senza un rumore, proprio come era arrivata, l’astronave decollò, sparendo velocissima nello spazio profondo.
Michele Signa BLOG: Vengo con questa mia ‘Addirvi’

Michele Signa

 

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