VACCINAZIONI E ANIMALI IN LABORATORIO

È tutto vero quel che si dice?

In una piovosa domenica ferragostana incontro a Fiume (Croazia) il Dr. Pavic al bar degli amici ed iniziamo una piacevolissima conversazione accompagnati da un delizioso kava (caffè) italiano.

Il Dr. Pavic, un medico serbo che aveva lavorato con l’ENI in Angola, mi diceva che le varie vaccinazioni, che venivano praticate a dipendenti e personale esterno, avevano effetto sui bianchi, non avevano nessun effetto sugli asiatici, ed erano dannose per i neri.

Ho fatto leggere al mio piacevole interlocutore l’articolo che di seguito riporto da “Newton del 4 aprile 2000”

Ogni anno, parecchi milioni di vertebrati in tutti i laboratori del mondo vengono sacrificati alla causa della medicina. Ma è proprio vero che per studiare gli effetti di un farmaco o la progressione di una malattia è indispensabile un modello animale? Roberto Della Loggia, farmacologo, e Gianni Tamino, biologo, discutono i pro e i contro della sperimentazione animale.

Possiamo paragonare l’organismo umano a quello di un topo o di una scimmia?

Della Loggia: “Uomo e topo non sono così diversi come si potrebbe pensare, perché entrambi sono mammiferi: le similitudini tra le due specie arrivano al 99% nel caso del topo ed addirittura al 99,9% nel caso della scimmia. Sia la fisiologia, sia i meccanismi biochimici di base sono pressoché identici”.

Tamino: ”Ci sono elementi fisiologici comuni a uomo e scimmia e, in misura minore, a uomo e topo. Le differenze, però, sono molto più rilevanti delle somiglianze: vanno dal tipo di alimentazione, al modo di camminare, alla nicchia ecologica che ciascuno occupa. Ogni organismo vivente è frutto di infiniti adattamenti al proprio ambiente e come tale il suo funzionamento non può essere confrontato con quello di altre specie”.

I risultati di una sperimentazione sull’animale si possono trasferire all’uomo?

Della Loggia: “Certo, si possono applicare all’uomo soprattutto dal punto di vista qualitativo. A livello quantitativo, invece, ci sono ovvie differenze: per esempio, pur utilizzando lo stesso farmaco (come le benzodiazepine) per far addormentare sia l’uomo che il topo, in quest’ultimo caso si deve tenere conto della diversa corporatura e delle differenze del metabolismo (che nel topo è più accelerato) e, quindi, variare il dosaggio”.

Tamino: “|No, assolutamente no. Anche fra due specie molto vicine come topo e criceto le risposte ai farmaci sono diversissime: figuriamoci tra uomo e topo! Oppure può variare marcatamente la dose efficace. Per ogni specie presa in esame si possono ottenere risposte molto diverse. Il risultato è che, di fatto, si effettua la sperimentazione vera e propria sull’uomo (che così diventa una cavia inconsapevole)”.

E’ vero che gli animali da laboratorio sono stressati dalle condizioni di vita e ciò modifica la loro risposta all’esperimento?

Della Loggia: “La premessa non è corretta. L’animale da laboratorio vive in un ambiente meno stressato di quello naturale, poiché non ha predatori da cui guardarsi, non deve difendersi dal freddo né procacciarsi il cibo. Non dobbiamo poi dimenticare che si tratta di animali che stanno vivendo in queste condizioni da molte generazioni.

Tamino: “Gli animali sono stressantissimi, lo conferma anche Renato Dulbecco in un lavoro di qualche anno fa: studiando alcune forme di tumore, egli si accorse che la risposta degli animali ai farmaci variava moltissimo tra quegli animali che erano tenuti in cattività e quelli che invece erano liberi nel loro ambiente. E’ ben noto che lo stress riduce le risposte immunitarie dell’organismo e quindi incide sulla risposta a un farmaco”.

E’ vero che nelle università si9 fanno ancora esperimenti sugli animali solo a scopo didattico?

Della Loggia: “La legislazione italiana è molto severa in fatto di sperimentazione animale: non consente l’uso di animali a scopo didattico e richiede che tutte le sperimentazioni di carattere scientifico siano autorizzate dal ministero della Pubblica Istruzione. Oltretutto, i produttori di animali non li vendono a quei laboratori che risultano privi di una specifica autorizzazione all’uso.”

Tamino: “Ancora oggi in molte università italiane si continua ad usare l’animale a puro scopo didattico: in realtà basterebbe descrivere la fisiologia o l’anatomia una volta per tutte e poi ricavarne video per gli studenti. La legge sulla sperimentazione animale attualmente in vigore in Italia spesso viene ignorata dalle università e dagli istituti di ricerca, che utilizzano cani, gatti e scimmie in libertà senza fare alcuna denuncia”.

Esistono metodi alternativi da utilizzare nella ricerca?

Della Loggia: “ Si e no. I metodi alternativi in provetta forniscono risposte meno attendibili rispetto a quelli sull’animale, perché si tratta di sistemi sperimentali lontani dalla fisiologia umana. Tuttavia sono utili: supponiamo di aver sintetizzato centinaia di molecole molto simili a un farmaco già in commercio e di dover selezionare quella che mostra un’attività migliore. Ecco che i test in provetta sono utili per scartare il 95% dei composti in esame, evitando la sperimentazione su animali e restringendo le analisi successive solo a pochi composti. A questo punto, però, si deve ricorrere ai modelli animali per verificare con accuratezza l’eventuale tossicità, la velocità di metabolizzazione e la dose efficace. Anche le simulazioni al computer possono aiutare a ridurre l’uso di animali, ma dubito che riusciremo a sostituire del tutto l’animale da laboratorio”.

Tamino: “Certo, è importante conoscere innanzitutto il comportamento chimico del farmaco da studiare e capire quale tipo di interazione ci potrebbe essere con i recettori cellulari: questo si ottiene con i preliminari saggi biochimici in provetta. Successivamente si possono eseguire verifiche in un sistema più complesso come le culture cellulari, da cui si ricavano informazioni funzionali più complete. A questo punto si passa all’uso di tessuti organici (ricavati dalle operazioni chirurgiche), che forniscono indicazioni ancora più complete. Infine, prima di passare all’applicazione sull’uomo (che dovrebbe essere condotta comunque con molta cautela), con l’aiuto del computer si elaborano tutti i dati ottenuti nelle varie fasi.

Qual è stato il contributo più significativo derivante dalla sperimentazione animale?

Della Loggia: “Praticamente tutti i farmaci che guariscono da malattie che fino a ieri rappresentavano un grosso problema sono nati grazie alla sperimentazione animale. Ricorderei, tra tutti i casi, la sconfitta della poliomelite: il virus che serviva a preparare il vaccino veniva coltivato su un rene di una scimmia.

Tamino: “I risultati ottenuti nella ricerca medica derivano esclusivamente dal fatto che i farmaci vengono provati sull’uomo: le indicazioni fornite dalla sperimentazione animale non portano alcun contributo significativo”.

Io e il Dott. Pavic restiamo alcuni istanti in silenzio ed osservazione l’uno dell’altro, poi lui esclama: “Caro Enrico, l’ultima risposta di Tamino è essenziale; non solo la sperimentazione valida è quella sull’uomo, ma addirittura quella sulla razza e addirittura sull’individuo. Ogni individuo è un caso; non si può usare un farmaco per malattia, ma un farmaco per ogni individuo. Caro Enrico, non ti fidare mai di quelli che praticano la scienza per fare quattrini”.

Meditate, gente, meditate.

Enrico Furia

Enrico Furia

 

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