Il falso mito della crescita.

di Mirco Mariucci

utopiarazionale

Il falso mito della crescitaLa crescita è diventata un imperativo categorico dell’odierna politica economia. Ma è veramente ciò di cui abbiamo bisogno per migliorare le condizioni di vita degli esseri umani? A dispetto delle più ferme convinzioni, la crescita “tout court” rappresenta un obbligo che non è scevro da pesanti conseguenze, sia per quanto riguarda il tempo ed i nostri ritmi di vita, che per tutto ciò che concerne la sostenibilità e l’inquinamento ambientale. Ma perché l’economia deve crescere? In estrema sintesi, quest’impellente necessità deriva dal meccanismo di moneta-debito. Le banche centrali creano (dal nulla) la base monetaria che, tramite il noto meccanismo della riserva frazionaria, viene moltiplicata dalle banche commerciali. In questo modo il sistema bancario crea ulteriore denaro (sempre dal nulla) con un costo reale che tende allo zero. Tuttavia il denaro viene sempre emesso e prestato previa richiesta d’un interesse. Ne consegue che o l’economia si espande, e quindi riesce complessivamente a ripagare gli interessi, pur alimentando un gigantesco schema Ponzi, o qualcuno è destinato a fallire. Da qui deriva l’imperativo categorico della crescita. Ma il concetto di crescita per la crescita non ha senso. Ad esempio, se gli esseri umani avessero accesso a tutti i beni materiali, durevoli e di elevata qualità, e ai servizi di cui hanno bisogno mediamente in un anno, perché l’anno successivo dovrebbero consumarne necessariamente di più? Bisognerebbe chiederci: è forse lo scopo della nostra vita essere degli accaniti consumatori? Oppure quel comportamento che ci sembra così naturale deriva dai martellanti spot pubblicitari o da altre forme di condizionamento sociale? Ci dicono che si deve consumare di più altrimenti l’economia si blocca e le persone restano senza lavoro. Quindi, se il sistema economico funziona male, dobbiamo condizionare la vita degli esseri umani per farli consumare più del necessario? Il vero problema consiste nella mancata crescita dei consumi, che induce una moltitudine di licenziamenti e quindi l’impossibilità di comprare anche i beni primari (seppur disponibili), o forse risiede nel sistema economico che non è in grado di gestire una simile dinamica? I nostri veri bisogni non aumentano per forza di anno in anno. Dal momento che lo scopo dell’economia dev’essere quello di soddisfare al meglio le esigenze degli esseri umani, allora è il sistema economico che si deve adattare alle nostre reali necessità. Oggi invece facciamo esattamente il contrario: il sistema economico deve crescere forzosamente, allora spingiamo sui consumi e adattiamo la vita degli esseri umani all’esigenze del sistema economico, ma tutto ciò è a dir poco folle! Un’economia veramente efficiente non dovrebbe crescere necessariamente. Il sistema economico dovrebbe essere flessibile, ovvero crescere quando c’è necessità di crescere, rimanere stazionario quando la domanda di beni e servizi è la medesima dell’anno precedente, e decrescere qualora ci fosse la necessità di decrescere, possibilmente senza peggiorare le condizioni di vita degli esseri umani. Perché dovrebbe decrescere? Magari a causa dell’introduzione di beni maggiormente durevoli; o perché le persone hanno già tutto ciò di cui hanno bisogno e l’anno successivo non vogliono per forza consumare di più; o magari perché abbiamo raggiunto i limiti strutturali del pianeta ed è bene che si attuino contromosse prima di estinguerci a causa della nostra stupidità. L’economia non è la fisica, tanto per intenderci. L’economia non descrive le equazioni dell’universo, l’economia è un costrutto umano arbitrario che noi creiamo per regolamentare le attività economiche all’interno della nostra società. Dipende da noi, non è un’entità preesistente da scoprire, ma un costrutto da inventare. Cambiando le regole cambia l’economia e, di conseguenza, mutano gli effetti sulla società. Ora chiediamoci: l’attuale modello di sviluppo è sostenibile? Direi proprio di no. Viviamo in un mondo dove 1/4 della popolazione mondiale attinge alle risorse dei 3/4 del pianeta per mantenere in essere il proprio stile di vita. Ma se 1/4 della popolazione ha bisogno di 3/4 delle risorse della Terra, per estendere il medesimo modello a tutta la popolazione mondiale servirebbero 3 pianeti, avete forse idea di dove trovarli? Detto ciò, è bene segnalare che tutti gli indicatori di sostenibilità ambientale ci mostrano che stiamo vivendo sopra il limite fisico entro il quale l’ecosistema potrebbe rigenerarsi, compensando così l’impatto antropico. Ora, che cosa consigliano i lungimiranti economisti di fama mondiale? Di spingere ancor più sulla crescita. Una crescita del 2% su scala globale è quello che i capi di stato hanno proclamato all’ultimo G20. Che cos’è, stanno cercando di trovare il modo di provocare il primo e ultimo suicidio collettivo della storia dell’umanità? La crescita della produzione dei beni può avvenire, anzi in molti casi è addirittura auspicabile che avvenga, ma bisogna capire che non può correre all’infinito, e che prima o poi dovrà approssimarsi asintoticamente verso il limite di sostenibilità globale (che abbiamo già oltrepassato). Una volta raggiunto, tale limite non può essere superato troppo a lungo se non si vuole stravolgere l’ecosistema, rischiando di mettere in dubbio la sopravvivenza della nostra specie. A quel punto si dovrà agire in termini di aumento dell’efficienza, non d’incrementi di produzione quantitativa ma qualitativa. Ad esempio, non un maggior numero di beni da consumare sempre più rapidamente, ma meno beni che però durano più a lungo; non uno o più beni per ogni essere umano ma, quando possibile, beni in comune (es. lavatrici e/o trasporti pubblici). Direte: ci sono anche i beni immateriali, come i servizi, quelli non consumano per forza risorse, quindi la crescita può andare avanti all’infinito. Bene, ma anche il consumo dei servizi immateriali non può crescere all’infinito, contrariamente a quanto si potrebbe ingenuamente pensare. Infatti un essere umano vive 365 giorni (e 6 ore) all’anno, e non se ne fa niente di un numero di servizi che cresce esponenzialmente, perché ad un certo punto non avrà più neanche il tempo materiale per usufruirne. Allora è chiaro che lo sviluppo non può essere dettato dalle esigenze di profitto del libero mercato. La crescita non può essere “libera”, ma deve essere indirizzata razionalmente verso il fine del benessere collettivo. In particolare, come ci ricorda l’ex presidente dell’Uruguay José Mujica: «Lo sviluppo non può essere contrario alla felicità». Perché rinunciare alla pianificazione e all’intervento in ambito economico, se poi queste condizioni di presunta “libertà”, millantate dai neoliberisti, vanno ad esclusivo vantaggio del capitale, portano ad un aumento del divario sociale, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo o ad un incremento dell’inquinamento e dell’insostenibilità ambientale? L’economia non può essere lasciata in balìa della brama di profitto dei capitalisti che agiscono in condizioni di libero mercato, ma come minimo dovrebbe essere regolamentata, se non pianificata. Altro che libero mercato, è ora di dire basta al “laissez-faire”, li abbiamo lasciati fare anche troppo, ed ora l’intervento in economia si è dimostrato essere fortemente necessario! Così come la crescita non può essere lasciata libera da vincoli che indirizzino le attività economiche verso il benessere collettivo, in modo duale anche la decrescita non può avvenire in condizioni di libero mercato. Bisogna capire che non ci può essere che decrescita infelice all’interno del capitalismo ma che la decrescita può essere più che felice, regolamentando e/o pianificando l’economia. Decrescere sostituendo i beni scadenti con beni durevoli, diminuendo l’orario di lavoro, pur riuscendo a fornire a tutti l’accesso a beni e servizi qualitativamente elevati, non significa stare peggio, significa migliorare drasticamente la qualità della vita degli esseri umani. Ma tutto ciò non è possibile all’interno dell’odierna economia neoliberista, mentre sarebbe un’operazione banale in un’economia regolamentata e/o pianificata, in particolar modo riappropriandoci della sovranità monetaria ceduta alle banche private e decidendoci ad implementare una politica monetaria volta a tal fine. Paradossalmente oggi la crescita è direttamente correlata all’aumento dell’infelicità, dell’inquinamento ambientale e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma allora, perché dobbiamo crescere forzosamente, se poi quella crescita è dovuta alle guerre, oppure ad un aumento del consumo di combustibili fossili e quindi dell’inquinamento? Che senso ha la crescita se per ottenerla uccidiamo altri esseri umani o peggioriamo la nostra salute? Perché dobbiamo far crescere l’economia se poi questa crescita non si traduce in un maggior tempo libero, in un minor inquinamento ambientale o in un seppur infinitesimo incremento di felicità? Abbiamo una gran bella faccia tosta: pur di salvare l’economia stiamo distruggendo il pianeta e siamo persino disposti a sacrificare le nostre vite, oltre a quelle delle generazioni che verranno. Eppure per risolvere il problema basterebbe intervenire nell’economia per produrre ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno guardando al fine del benessere collettivo, non ciò di cui necessita un sistema economico folle, guidato da individui egoisti, miopi e parassitari, sempre più assetati di profitto. Ma dal momento che pretendere che il potere riformi se stesso è una chiara assurdità, bisognerebbe innanzitutto agire in prima persona, correggendo il nostro stile di vita e diffondendo un nuovo paradigma economico non più vincolato all’imperativo della crescita».

Mirco Mariucci

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