La crisi in Crimea e il divieto dell’uso della forza

di Giuseppe Paccione

Giuseppe J. PaccioneL’intera Europea, intesa come opinione pubblica, si trova ad assistere alle più gravi crisi di sicurezza dopo i tragici eventi che ricordano la dissoluzione della Jugoslavia. Esattamente un anno fa, il Presidente della Federazione Russa depositava un ricorso al Consiglio della Federazione russa per domandare l’autorizzazione a usare la forza armata riguardo alla situazione straordinaria che si è sviluppata in Ucraina e alla minaccia per i cittadini russi, per il personale del contingente militare delle Forze Armate della Federazione russa dispiegati sul territorio di Ucraina (Repubblica autonoma di Crimea).
Lo stesso giorno il Consiglio concedeva l’autorizzazione al presidente russo di dispiegare forze sul territorio ucraino. In questo mio scritto traccerò due possibilità che potrebbero essere invocati per giustificare l’azione di coercizione armata (uso della forza) di Mosca, nonostante il divieto generale di usare la forza ai sensi dell’articolo 2 (4) della Carta: (i) l’autodifesa e (ii) l’intervento su invito.
Una delle eccezioni riconosciute al divieto dell’uso della forza è l’articolo 51° della Carta, che consente a uno Stato di usare la forza come risposta a un attacco armato. Infatti, la norma determina che nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale ocollettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali.
La prima domanda che deve essere valutata è se un attacco armato è avvenuto contro la Russia. Non c’è stato alcun dispiegamento di truppe ucraine sul territorio russo. Tuttavia, la Federazione russa sembra cercare di legittimare l’autorizzazione dell’uso della forza sul concetto di autodifesa olegittima difesa, appellandosi al fatto che il personale militare e i cittadini russi presenti in Crimea sono stati minacciati. La questione giuridica è se uno Stato può riferirsi al concetto di autodifesa per proteggere i suoi cittadini e il personale militare al di fuori del suo territorio e se tale atteggiamento sia stato lecito.
La ben nota risoluzione n.3314 (XXIX) del 14 dicembre 1974, adottata dall’Assemblea Generale, sulla definizione di aggressione dimostra che la nozione di attacco armato non è legato esclusivamente al territorio dello Stato aggredito. Art. 1 (d), della Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rivela che uno Stato può essere oggetto di un attacco armato, che accade al di fuori del suo territorio lecito, vale a dire un attacco extra-territoriale armato, anche per quanto un atto di aggressione possa essere considerato un attacco da parte delle forze armate di uno Stato contro le forze armate terrestri, navali o aeree, o la marina e l’aviazione civili di un altro Stato. Tale disposizione evidenzia solo vari tipi di forze di un altro Stato – cioè lo Stato attaccato – che deve essere preoccupato. Mentre gli atti di cui all’art.1 (a) e (b), sempre della Risoluzione n.3314, richiedono chiaramente il verificarsi di un’invasione o attacco contro il territorio di un Stato da parte delle forze armate di un altro Stato, e, in base alla lettera e al medesimo articolo, è enunciato che l’uso delle forze armate di uno Stato con l’accordo dello Stato ospite, in violazione delle condizioni della loro presenza sul territorio in questione al di là della scadenza dell’accordo, si applica anche extra territorialmente. Tuttavia, tali atti devono far scattare la soglia di un attacco armato ed essere stabiliti che l’uso della forza non sia sproporzionato.
Alla Russia, come Stato, che invoca il diritto di auto-difesa, spetta l’onere di mostrare la prova per dimostrare che gli atti compiuti dalle forze militari ucraine contro quelle russe sono di una tale gravità tanto da costituire un vero e proprio attacco armato.
Anche se ci sono state dichiarazioni da parte delle autorità di Kiev, in cui si asseriva che le truppe russe in Crimea potevano restare, sebbene autorizziate a operare, non ci sono al momento segnalazioni di sorta che la flotta russa di stanza in Crimea abbia usato atti di violenza. Un attacco armato contro i militari russi in Crimea non si è verificato, per cui la stessa Russia non può giustificare il ricorso alla forza armata senza aver subito un’azione offensiva da parte delle forze militari ucraine. La Russia sembra essere più preoccupata, tuttavia, per la sicurezza dei suoi cittadini in Crimea. È pacifico tra gli Stati membri verificare se esista il diritto di far riscorso all’azione coercitiva armata per proteggere i cittadini residenti sul territorio di un altro Stato.
Su questo punto, la stessa dottrina internazionalistica è divisa, nel senso che vi è una parte che asserisce che gli Stati hanno il diritto di fare uso della forza, al fine di proteggere i propri cittadini che si trovino all’estero e devono seguire tre condizioni. La prima è che deve esserci una minaccia imminente a danno dei cittadini; la seconda consiste nella presenza di un errore o incapacità da parte del sovrano territoriale per proteggerli e, infine, la terza concerne le misure di protezione che devono essere strettamente confinati con l’oggetto della tutela dei suoi cittadini da imprevisti che possano nuocerli.
Altri internazionalisti sostengono che non vi è l’esistenza di tale diritto, sebbene la sicurezza dello Stato attaccato non sia minacciata, quando i suoi cittadini siano oggetti di un attacco oltre i suoi confini e perché un tale diritto avrebbe, in un certo senso, qualche contorno di richiesta al diritto di autodeterminazione.
Altri studiosi condividono l’opinione secondo cui i cittadini, che si trovano all’estero, possono essere oggetti di un attacco armato, ai sensi dell’articolo 51 della Carta dell’ONU, e se tale attacco contro essi ha come fattispecie il legame della nazionalità. Su questo punto, abbiamo una serie di esempi come la liberazione degli ostaggi israeliani in Uganda nel 1976, l’invasione delle truppe statunitensi a Panama nel 1989 o quella delle forze militari russe in Georgia nel 2008. Su quest’ultimo caso, cioè quello georgiano, va detto che nell’intervento di Mosca per proteggere i propri cittadini in Georgia, l’Occidente – l’UE e gli Stati Uniti – non si sono opposti, ma solamente hanno contestato in modo soft la proporzionalità dell’azione da parte russa.
Tuttavia, anche quando si vuole sostenere che tale diritto esistesse de lege lata, sembrerebbe molto arduo da giustificare un’azione attuale da parte della Russia. Anche se ci sono punti di vista divergenti tra media occidentali e russi su ciò che sta accadendo ai cittadini russi in Crimea, non sembrano esserci rapporti adesso che stabiliscano se i cittadini russi in Crimea o di altre parti dell’Ucraina siano stati minacciati.
La federazione russa afferma che si è alla presenza di una vera minaccia per la vita e la salute dei cittadini russi, ma non riesce a stabilire in concreto come i cittadini russi siano in pericolo dal passaggio di governo che si è verificato in Ucraina il 23 Febbraio. Pertanto, a mio parere, l’autorizzazione russa all’uso della forza non può essere giustificato appellandosi all’istituto della legittima difesa, ai sensi dell’articolo 51° della Carta. Gli atti attuati da Mosca avrebbero, come minimo, dovuto soddisfare i requisiti di necessità eproporzionalità per giustificarli e considerarli leciti in connessione con l’articolo cinquantuno.
Un altro problema, fatta eccezione al divieto generale dell’impiego della forza, concerne un intervento militare attraverso l’invito o la richiesta di intervenire. Le autorità moscovite hanno basato la propria azione sull’assenso delle autorità di Kiev piuttosto che sulla tutela dei suoi cittadini. Il problema è che le autorità di Mosca considerano Yanukovich ancora il presidente legittimo dell’Ucraina e potrebbe essere coinvolto al fine di legittimare l’azione della Russia. In aggiunta, si consideri che il neo primo ministro della provincia autonoma della Crimea abbia dichiarato di aver chiesto l’intervento di Mosca per ristabilire la pace e la calma nell’area. È d’uopo dibattere se i due organi ufficiali, il presidente dell’Ucraina, rifugiatosi in Russia, e il primo ministro della Crimea abbia il potere di invitare la Russia a intervenire sul suolo ucraino e, pertanto, giustificare l’azione coercitiva armata o l’uso della forza russa. Certamente, non è semplice valutare la legittimità di un intervento ottenuto per invito o richiesta. La commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite sulla questione dell’Ungheria, durante l’11° sessione n.18 A/3592, ha menzionato che l’atto di far intervenire forze di uno Stato straniero per la repressione di disordini interni è un’azione grave, considerato quale carattere da giustificare l’attesa che nessuna incertezza debba essere consentita di esistere circa l’effettiva presentazione di tale richiesta da parte dello Stato.
La Corte Internazionale di Giustizia ha, nell’affare Nicaragua del 1986, sottolineato l’importanza del consenso del governo all’intervento osservando: come la Corte ha asserito che il principio di non intervento deriva dal diritto internazionale consuetudinario, certamente, tale principio perderebbe la sua efficacia come principio di diritto, se l’intervento dovesse essere giustificato da una mera richiesta di assistenza presentata da un gruppo di opposizione in un altro Stato – supponendo che tale richiesta sia stata effettivamente fatta da un’opposizione al regime in Nicaragua in questa istanza.
La questione è se il presidente Yanukovich rappresenta ancora il governo ucraino, dato che il parlamento ucraino ha approvato una risoluzione in data 22 Febbraio 2014 chiedendo a Yanukovich di rassegnare le dimissioni e ha eletto Turchinov come suo successore il giorno successivo.
A parere di chi scrive, ritengo che si potrebbe semplicemente negare la validità del consenso di Yanukovich per la mancanza di un controllo effettivo sull’intero territorio dell’Ucraina. L’autorità efficace è fondamentale per determinare chi abbia il diritto di presentare l’invito. Questa linea di argomentazione vale, anche se si considera, e questa non è la mia personale interpretazione degli eventi, che il presidente deposto Yanukovich è stato rovesciato da un colpo di stato illegale.
La previsione è importante per la giustificazione o legittimazione di un intervento attraverso la richiesta o l’invito, come nessuna incertezza debba essere consentita di esserci circa la presentazione effettiva di tale richiesta da un governo debitamente costituito. Il sostegno a un governo legittimo, che subisce un rovesciamento, poteva essere solamente dato attraverso la decisione del Consiglio di Sicurezza, secondo il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Riguardo al primo ministro della provincia autonoma di Crimea, non è stato contestato dagli attori della scena internazionale – come ad esempio dalla stessa Federazione russa – sebbene la Crimea è considerata parte della Crimea. Lo stesso Presidente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 28 febbraio, ha asserito il massimo sostegno a favore dell’unità, dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina. Su questo punto, va precisato che l’autore della richiesta di aiuto a un terzo soggetto di diritto internazionale – lo Stato – deve essere fatto dall’organo centrale. Non è accettabile come il capo di un ente federale di uno Stato possa rilasciare la dichiarazione di intervento a un terzo Paese, ma tale dichiarazione doveva essere emanato dalle autorità centrali di Kiev. Pertanto, la Russia non può sostenere che l’impiego della forza nella provincia autonoma di Crimea possa essere giustificata attraverso una richiesta emanata da un organo periferico.
Pertanto, l’uso della forza russa in Crimea è illegale e contrasta le norme del diritto internazionale. Si potrebbe aggiungere che il concetto di un intervento umanitario, il cui riconoscimento da parte del diritto internazionale resta dubbia, non cambierebbe il risultato. La Russia non ha finora invocato tal espressione (intervento con la forza per motivi umanitari). Dato che questo Stato si è opposto alla validità d’interventi umanitari, in numerose occasioni , sembra dubbio che lo farà in futuro . Tuttavia, anche se si accettasse la validità di questa dottrina del diritto internazionale, un intervento umanitario non sarebbe applicabile nel caso in specie, ma solo in situazioni in cui una popolazione civile è sottoposta a crimini contro l’umanità o genocidio, che un terzo Stato potrebbe essere autorizzato ad agire a favore della popolazione civile. Non ci sono prove che la popolazione di lingua russa presente in Crimea abbia subito violazioni di diritti umani, ma sembra che, sostenendo la popolazione di lingua russa in Crimea , la Russia abbia solo obiettivi ben mirati come quella di evitare che l’Ucraina passi, sul piano politico, dalla parte dell’Occidente.

Dr. Giuseppe Paccione
Esperto di Diritto internazionale
Diritto dell’UE
Diritto diplomatico e consolare
Diritto costituzionale

La crisi in Crimea e il divieto dell’uso della forza

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