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Gregorio Durante venne trovato morto, nel carcere di Trani, la mattina del 31 dicembre 2011.

Entrai in contatto con la madre, Ornella Chiffi, e, dopo ore di confronto telefonico, pubblicai sulle Urla dal Silenzio, il 3 marzo 2012, un lungo resoconto sulla vicenda (vai al link..https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/03/04/avete-ucciso-gregorio-durante/). Una vicenda che ha generato l’indignazione di chiunque ne sia venuto a conoscenza.

Il 14 novembre di quest’anno si è concluso il primo grado di giudizio sui fatti di questa vicenda. Si è concluso con una sola condanna, quella del Dirigente Sanitario del carcere di Trani. Condannato a soli 4 mesi di carcere. Condanna che ha fortemente amareggiato la madre e i famigliari.

Oggi, dopo tre anni dalla prima volta che mi occupai di questa vicenda, ci ritorno, con una intervista che ho fatto alla madre, in merito alla controversa sentenza del novembre 2014, e a come lei e i famigliari intendono adesso procedere.

Prima di questa intervista, però, “devo” nuovamente narrare la vicenda di Gregorio Durante.

Quello che avvenne a questo ragazzo è talmente indegno da richiedere che la dinamica dei fatti sia conosciuta. E quindi la narro nuovamente, sia per quelli che non lessero mai il lungo pezzo che pubblicammo tre anni fa. Sia per coloro che lo lessero, ma hanno, nel frattempo rimosso molti aspetti della vicenda.

Riprenderò quindi il resoconto che scrissi 3 marzo 2012, riformulando però vari passaggi, e togliendone altri. Per poi passare all’intervista che ho recentemente fatto ad Ornella.

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Questa è una storia di quelle di cui, se è possibile, non va rimandata la lettura. E’ una di quelle storie che vanno affrontate adesso, perché a un ragazzo che ha passato le pene dell’inferno, glielo dobbiamo. Andate fino in fondo nella lettura, non interrompetela. Perché un ragazzo è morto solo come un cane e merita almeno un po’ del nostro tempo, e lo merita sua madre, e tutti coloro che adesso sono in una posizione simile alla sua e ora rischiano di fare la stessa fine.

Adesso procedo con la storia, per poi, alla conclusione della narrazione, fare delle considerazioni finali.

Nel 1995 Gregorio, all’età di diciassette anni fu colpito da una meningalncefalovirarle. Questa lo portò a quaranta giorni in coma, e, in totale, a tre mesi e mezzo d’ospedale.
Da questa malattia non se ne esce vivi, o se si resta in vita, se ne esce con gravi deficit. Gregorio ne uscì vivo e sano; ma con gravi crisi epilettiche. Le crisi le curava con un farmaco, il gardenale. In qualche modo, supportato dai farmaci, Gregorio non aveva attacchi epilettici e riusciva a fare una vita sostanzialmente normale.

Nel 2004 si ripresentò una crisi epilettica. Aveva 25 anni allora. Questa unica crisi lo portò ad uno scombussolamento completo di tutto il suo equilibrio. Ne derivarono gesti in consulti, tremori, balbettii, momenti di lucidità e no. In quei frangenti di crisi non riusciva a parlare, non riusciva a deglutire. Nel complesso ciò che gli accadeva di frequente, dopo avere avuto una crisi epilettica, viene chiamato “crisi psicomotoria”. Dopo quella crisi epilettica, si succedettero nei giorni,  tutta una serie di crisi psicomotorie. Durante queste crisi si contorceva come un animale, sbatteva le mani e sbatteva le gambe. La madre gli stava vicino per evitare che lui si facesse male.
Venne ricoverato nell’ospedale di Lecce per dieci giorni. Fu dimesso con queste crisi che erano arrivate ad un livello molto lieve. Stette a casa tre mesi. La madre lo seguiva come un bambino. Momenti di lucidità che si alternavano a momenti di lucidità.
Ornella aveva appreso tutta una serie di modalità con cui approcciarsi con lui nei momenti di crisi. Non appena arrivava una crisi, lui la avvisava e lei lo faceva stendere sul divano, e lo aiutava nei movimenti che non riusciva a controlla, per evitare che si facesse male.
Adesso non bastava più il Gardanale, ma dovettero aggiungere un altro farmaco, il Tolep 600. Dopo tre mesi e mezzo, riprese a vivere decentemente. Le crisi scomparvero. Stava anche lavorando, nelle pompe funebri. A conti fatti, stava bene. Era sposato ed aveva due bambini; e guidava regolarmente anche.

Gregorio fu arrestato nel 2010.  Il fatto scatenante l’arresto furono degli schiaffi che diede al figlio di una guardia penitenziaria. L’arresto non si reggeva solo sul singolo fatto violento. Ma anche sul fatto che era stato già precedentemente condannato, per associazione mafiosa –condanna che aveva già scontato agli arresti domiciliari, e che aveva comportato la misura della sorveglianza speciale. L’atto violento, considerato in questo contesto, fu valutato come reato in violazione della sorveglianza speciale, e da questo ne derivava un livello sanzionatorio più elevato.

Il ragazzo finì per essere condannato a sei anni. In appello la pena venne ridotta  a tre anni e mezzo; e poi definitivamente riconfermata in Cassazione.  Gregorio Durante è morto dopo un mese dalla sentenza definitiva; due anni precisi di detenzione. Era stato arrestato il sette novembre 2009. E è morto il 31 dicembre 2011. Due anni pieni, due anni integrali. Senza avere mai un permesso. Ricordiamo che era giovane, e che aveva due figli minori. Ma non gli venne mai concesso alcun beneficio. Tutte le sue richieste -come i domiciliari- gli furono rigettai in quanto socialmente pericoloso.

Gregorio fu inizialmente detenuto a Lecce e poi, dopo solo 20 giorni, fu trasferito a Bari. Sia a Lecce che a Bari Gregorio riceveva regolarmente la terapia.    A Bari, però, la sezione era pericolante, e suo figlio, nell’aprile del 2011 venne trasferito nel carcere di Trani. E questo segnò la sua condanna a morte.
Di colpo gli venne soppressa la compressa di Tolep. Era stato mantenuto solo il gardenale. Nonostante le pressioni della madre perché quel farmaco fosse dato a Gregorio, il Dirigente Sanitario diceva che l’Asl non la passava.

Per otto mesi Gregorio non avrà quel farmaco. Le istanze che, a tal proposito, la madre fece al Magistrato di Sorveglianza, non sortirono alcun esito.

Gregorio è stato relativamente bene fino al 4 dicembre. Da lì iniziò quell’allucinante mese da incubo che lo condurrà alla tomba.

La sera del 4 dicembre Gregorio fu colpito da una crisi epilettica. La mattina del 5 scrisse alla moglie, e quella fu l’ultima lettera che scrisse. In quella lettera raccontava le dinamiche della crisi che aveva avuto. All’inizio aveva avuto fortissimi tremori in tutto il lato sinistro del corpo, la lingua storta di fuori, e altri segni di perdita della consapevolezza e del controllo psicofisico. Doveva essere sorretto dai compagni. Venne poi condotto in infermeria, dove gli fu somministrato il valium, per poi essere riportato in cella.
Dopo altre tre ore, Gregorio venne colpito da un’altra crisi epilettica, ancora più forte della precedente. Lui non ricordava nulla di quest’altra crisi. Furono i compagni a raccontare le dinamiche della vicenda. Gli stessi compagni che, in quel momento, avvisarono chi di dovere. Gregorio venne condotto nuovamente in infermeria, gli fu nuovamente somministrato il valium, per poi ricondurlo in cella. Questa volta, però, venne chiamato il 118. Il 118 arrivò ma i medici non ritennero opportuno portarlo in ospedale. Si limitarono a somministargli un calmante , poi gli somministrarono un altro medicinale, e lo lasciarono in carcere. Gregorio avrebbe dormito fino alla mattina preso del giorno dopo. E, fu quella mattina che, svegliatosi, avrebbe preso carta e penna per scrivere alla moglie il resoconto di queste vicende. Fu l’ultima lettera che scrisse.

Dal giorno di quella crisi, la madre ebbe con lui circa quattro colloqui. E ogni volta stava peggio. Era talmente confuso in quei colloqui, che spesso doveva essere lei ad alzarsi dalla sedia e bloccarlo, perché lui, di prima battuta, non  riconosceva lei e chi la accompagnava.
Dal 4 al 31 dicembre si sono succedute fortissime crisi psicomotorie. Il 118 venne molteplici volte, anche nell’arco della stessa giornata (come risulta dal diario clinico carcerario). Ma, Gregorio non venne mai portato in carcere. Ci si limitava, al massimo, a somministragli calmanti.

Il 10 dicembre, durante un colloqui con la madre, Gregorio ebbe una fortissima crisi psicomotoria. Mentre chi era intorno cercava di farlo riprendere, la madre, furibonda, chiedeva di parlare con chiunque, nel carcere, fosse in grado di intervenire e, comunque, chiedeva che fosse trasferito.  La madre quel giorno parlò con il medico di turno, con l’ispettore, con il comandante e con decine di agenti penitenziari.
Il dialogo col medico fu decisamente emblematico. Mentre la madre disperata esponeva la situazione del figlio e quello che sarebbe successo se fosse continuato a rimanere in ospedale, il medico a un certo punto, tenendo le mani in tasca,  disse: “Signora, è già un miracolo che lei stia parlando con me”.
La madre insisteva, chiedendo se fossero stati fatti gli esami adeguati; tac, risonanza magnetica, ecc. Ma lui continuava a stare con le mani in tasca, facendo spallucce e non dando risposte.

Però la madre tanto disse e tanto fece, minacciando che non si sarebbe mossa di lì finché non fosse stata chiamata un’ambulanza per portare Gregorio in ospedale, che alla fine l’ambulanza venne chiamata e lui fu portato in ospedale, ma venne messo nel reparto psichiatrico. In quel reparto restò solo due giorni –durante le quali ebbe anche crisi psicomotorie- per poi essere rimandato in carcere, con la glicemia, tra l’altro, molto al di sotto della norma.

In tutto questo drammatico succedersi di eventi, la madre si era accorta che i

medici del carcere, il Dirigente Sanitario, direttore sanitario e Direttore della struttura del carcere di Trani, si erano fatti la convinzione che Gregorio simulasse per avere benefici penitenziari. Quindi, appena tornato dall’ospedale, si decide di “punire” questo povero Cristo dandogli l’isolamento diurno. Quindi, Gregorio –sottolineiamolo, già devastato dagli attacchi epilettici, e poi da due giorni di crisi psicomotorie, e con la glicemia bassa-  venne mandato, dalle autorità del carcere di Trani, in isolamento. E questa misura durò tre giorni. Solo in cella. Solo con le sue crisi e con tutto quello che ne comporta.
Dopo questi tre giorni, venne messo in una cella dell’infermeria, dove non vi era alcun oggetto o suppellettile. Questo perché, il trattamento che gli era inflitto determinava, come era preventivabile, dei momenti di aggressività. E allora, per evitare che facesse atti pericolosi, fu piazzarono in una cella dove non c’era niente oltre al letto. Gli venne affidato un piantone. Ovvero un detenuto che non stava in cella con lui, ma che lo lavava, lo vestiva e gli dava da mangiare. Lui ormai era sempre più debilitato e incapace di agire. Non riusciva più a farsi la barba, e tante altre cose. E, a un certo punto, non fu più capace neanche di parlare. E non riuscendo neanche a camminare, veniva trasportato su una sedia a rotelle.

La famiglia, viste le sue devastanti condizioni, aveva scritto a Magistrato di Sorveglianza che Gregorio ricevesse la sospensione della pena per gravi motivi di salute. Ma il Magistrato di Sorveglianza, invece di dare la sospensione della pena, pensò bene di stabilire per Domenico trenta giorni di ospedale psichiatrico giudiziario, per capire se Gregorio stesse simulando o meno. Avete capito bene. Un ragazzo in fin di vita, con un pregresso stato patologico, con ricorrenti crisi,  ricoverato da poco in ospedale..  e prima il carcere lo punisce con un regime di isolamento, e poi il Magistrato di Sorveglianza lo manda per 30 giorni in un ospedale psichiatrico giudiziario per capire se stava simulando o no.

Gregorio non ci arriverà mai all’ospedale psichiatrico, perché sarebbe morto prima.

L’atto del Magistrato di Sorveglianza giunse il 14 dicembre, ma l’Ospedale psichiatrico giudiziario in quel momento era pieno. E quando si sarebbe liberato un posto, Gregorio aveva già lasciato questo mondo.
Nel mondo “esterno”, Gregorio era assistito da un luminare della neuropsichiatria, il professore Luigi Specchio. Fu lui che nel 2003 lo aveva letteralmente tirato fuori dalla morte. Gregorio, quando cominciò il suo tunnel nero, nel dicembre 2011, chiedeva costantemente di potere avere la visita del suo medico di fiducia, il professore Luigi Specchio appunto. Ma doveva fare la domandina, perché tutto in carcere funziona con la domandina. Il piccolo problema era che Gregorio non era proprio nelle condizioni materiali di riuscire a compilare una domandina.
Il 14 dicembre la madre ebbe un colloquio con Gregorio. Viste le sue condizioni sempre più deterioriate, e la costante possibilità di una crisi distruttiva, la madre chiese alle guardie non lasciarli completamente soli, e di stare nelle vicinanze. In quell’ora di colloquio, Gregorio non riuscì a dire quasi una parola; ma sembrava che riuscisse comunque a capire qualcosa. Questa impressione era confermata dai cenni che dava con la testa. Aveva gli occhi semichiusi. Fu proprio da quel giorno che Gregorio incominciò a non parlare, per poi, a partire dal 17, non dire più neanche una parola.

Torniamo al colloquio del 14. Sul finire del colloquio di quel giorno, comparvero nella sala il Direttore e lo psichiatra del carcere. Lo psichiatra le disse.
“Signora, non so più che cosa devo fare con suo figlio. Sto cercando di stimolarlo in tutti i modi”.
Al che la madre rispose sdegnata..
“Lui non aveva bisogno di stimoli, ma di essere ricoverato”.
“Chiede del professor Specchio”, continua lo psichiatra del carcere.
“Sì, è il suo medico curante”, dice la madre.
E a questo punto è il Direttore ad intervenire..
“Sì, sì, proprio stamattina ho autorizzato la domandina perché venga a visitarlo il medico di fiducia”.

Queste furono le parole del Direttore. Famiglia e avvocati aspettarono un paio di giorni, ma il professor Specchio continuava a non ricevere alcuna chiamata dal carcere.

Successivamente, sostiene la madre, sarebbe emerso come la richiesta del Direttore non è era mai partita dal carcere. Ovvero il Direttore del carcere di Trani avrebbe deliberatamente mentito.

Nel colloquio che la madre ebbe il 17, trovò Gregorio ormai totalmente debilitato, incapace di fare assolutamente niente. Tutta l’ora del colloquio passò con la madre che lo abbracciava, che abbracciava un corpo abbandonato e con gli occhi semichiusi. Tuttavia, vi fu un’ultima fiammata di questo ragazzo. Al momento del saluto, il figlio di colpo ritrovò un ultima scintilla di vitalità, e strinse forte la mamma con una forza inaudita, e la baciò sulla bocca. Quando, alla fine, lo stavano riportando via, poi, Gregorio le cadde sulle braccia. Gli agenti lo presero e lo portarono via sulla sedia a rotelle. Quel fortissimo abbraccio, e quel bacio in bocca, fu l’ultimo estremo saluto di Gregorio alla madre, l’ultimo suo grande atto d’amore.

Quando il 24 dicembre la madre arrivò in carcere per un altro colloquio, Il figlio le venne portato completamente inerte, sulla sedia a rotelle, e con gli occhi ormai completamente chiusi. Neanche il capo reggeva più, ed era la madre a tenerlo, mentre la nuora (la moglie di Gregorio), venuta anch’essa a colloquio, gli teneva le mani.
Sul finire di quel colloquio, un detenuto, chiamando la madre in disparte, le disse “Fate qualcosa, o lui di qui esce morto”.

Il 27 dicembre, finalmente,  vi fu la visita in carcere del prof. Specchio. Dopo la visita, il prof. Specchio disse espressamene che Gregorio doveva essere portato urgentemente in ospedale, perché ormai poteva succedere di tutto. Venne inviata al Magistrato di Sorveglianza una relazione scritta del Prof. Specchio, dove il professore  spiegava in modo chiarissimo la drammatica situazione in cui si trovava Gregorio.

Il Magistrato di Sorveglianza, a questo punto, invece di chiedere un immediato ricovero, fa un atto col quale chiede al carcere di accertare le attuali condizioni di salute di Durante Gregorio. Lo stesso carcere che per un bel periodo aveva considerato Gregorio un simulatore. Lo stesso carcere che aveva lasciato inevase le drammatiche richieste della madre. Lo stesso carcere dove il medico si permetteva di fare spallucce davanti ad una madre col cuore a pezzi. Lo stesso carcere dove il Direttore poteva dire una cosa, rivelatasi poi non vera, come quella per cui, la domandina per la visita del prof. Specchio era stata autorizzata. Era a questo carcere che il Magistrato di Sorveglianza chiedeva fossero accertate le condizioni del ragazzo.

Il 31 mattina la Ornella e la nuora mentre stanno arrivando in carcere per un nuovo colloquio, ricevono una telefonata in cui vengono avvisate che Gregorio non ce l’ha fatta. Gregorio era stato trovato morto, proprio quella mattina, durante un’ispezione nella cella numero cinque.

Nonostante la tremenda notizia, Ornella ha la forza di continuare il tragitto verso il carcere per riprendersi il corpo del figlio. Appena arrivata, vedendo il Direttore che la guarda dalla sua finestra, le dice “Animale, animale”. Il Direttore per tutta risposta, alzò le braccia e fece il gesto di mandare a fare in culo.

Un paio d’ore dopo, comunque, il Direttore ricevette la madre e la moglie di Gregorio nel suo ufficio.  Il Direttore dice ad Ornella che proprio quella mattina si era deciso ad attivarsi presso il Magistrato di Sorveglianza per fare ottenere a Gregorio la sospensione della pena. Proprio quella mattina.. che coincidenza.. Il Direttore, continuava a parlare dicendo che lui in carcere si faceva il mazzo, finché a un certo punto Ornella gli dice:

“E quando vedeva mio figlio, cosa vedeva? Nn vedeva un ragazzo che stava morendo? Io le ho consegnato una montagna. E adesso è stato ridotto ad un corpo denutrito fino alla morte”.
Denutrito.
Sì, perché Gregorio oltre a non essere curato, non è stato neanche messo in condizioni di mangiare. Quando nel 2003, si era trovato in condizioni simili, era stato nutrito con un sondino naso gastrico.

Quando nel dicembre 2011 in carcere non fu nuovamente in condizione di nutrirsi, non si pensò mica a trovare un modo per alimentarlo. Ma, la sua impossibilità a nutrirsi venne interpretata come “rifiuto del cibo”. Sul diario clinico del carcere è scritto..
“Rifiuta il cibo”.
Non sembra che nessuna delle menti sanitarie del carcere di Trani abbia pensato che molto probabilmente non poteva mangiare, che non poteva deglutire, e si doveva cercare di alimentarlo in qualche modo.

Altro dato inquietante. Quando, IL 24 dicembre,  il prof. Specchio era stato a visitarlo, raccontò di avere visto sul labbro di Gregorio, uno strano impasticciamento rosato. Solo successivamente Ornella ricordò  che le compresse di Tolep, che suo figlio prendeva a suo tempo, insieme al Gardenale, erano di colore rosato. Sì, le stesse compresse che per otto mesi, da quando giunse nel carcere di Trani, non gli vennero più date. Quell’impasticciamento rosa  sul labbro di Gregorio –questa fu l’interpretazione a cui giunse la madre- derivava dalle pillole di Tolep che, non potendo il ragazzo ingoiarle, perché ormai incapace di deglutire, si scioglievano lentamente in bocca, per poi formare una pasta rosa, che fuoriusciva all’esterno sul labbro, cristallizzandosi sopra di esso. E ricordò che effettivamente Gregorio, nella lettera che il 5 dicembre scrisse alla moglie, dopo la devastante crisi epilettica del 4, a un certo punto diceva..
“Miracolosamente, subito dopo la crisi epilettica, si è trovato il Tolep”.
E la cosa spaventosa è che una volta che queste pillole uscirono “magicamente” uscite fuori, non ci fosse un cane che capisse che questo povero disperato non poteva più neanche deglutire. Se l’interpretazione della madre corrisponde al vero, ci si limitò a ficcargli queste compresse in bocca. Le ficcavano in bocca ad una persona ormai incapace di reggersi in piedi, di parlare, di fare alcunché. La ficcavano in bocca, e magari non davano neanche l’acqua. E magari non controllavano neanche se riusciva ad ingoiare. Gli ficcavano le pillole in bocca come a una cavia da laboratorio. E queste si scioglievano lentamente. Chissà se qualcuna di queste “menti sanitarie” abbia mai avuto il dubbio che quello strato rosa sulle labbra di Gregorio, fosse la stessa pillola rosa, sciolta però, che loro gli davano.

L’analisi del corpo del ragazzo, è stata causa di ulteriore sofferenza per la madre. Non solo perché, dopo la morte di Gregorio, si è trovata davanti un corpo denutrito, devastato e pieno di ecchimosi. Ma anche per le modalità in cui sembra essere giunta la morte.

Ornella mi disse:
“Mio figlio è morto durante crisi violente. I pugni sono stretti incredibilmente e le dita sembrano artigli. E’ morto solo. Quando il blindato era chiuso veniva lasciato sulla sedia a rotelle, da solo. Senza suppellettili, senza che nessuno lo controllasse, gli mettevano un pannolone se ne andavano. Lo hanno lasciato morire da solo”,
Morto come un cane, in una condizione di totale impotenza ed abbandono. Morto solo in una cella col blindo chiuso, nonostante fosse ormai totalmente non autosufficiente, e avrebbe dovuto avere qualcuno sempre con lui, ad aiutarlo per eventuali esigenze, o pronto ad intervenire in caso di pericolo. Invece era solo, solo, incapace di andare in bagno, incapace di mangiare, incapace di muoversi, inchiodato su una sedia, come un sacco di patate.
Circa sette o otto giorno dopo la morte di Gregorio… casualmente… i detenuti a lui vicino sono stati trasferiti. Questi detenuti si dimostrarono disposti a testimoniare; ed anzi sono stati loro stessi a contattare la famiglia.

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Quella che avete appena letto è il resoconto della vicenda di Gregorio Durante fino alla sua morte e all’inizio dell’inchiesta in seguito alla denuncia della madre e degli altri famigliari.

In questi anni nel frattempo, come ho scritto all’inizio del post, l’istruttoria si è conclusa e vi è stata, il 14 novembre 2014, la sentenza di primo grado. Sentenza fortemente discutibile e fortemente contestata dalla famiglia.

Risentendo Ornella, le chiedo di raccontare quanto avvenuto dai fatti raccolti nel resoconto di marzo 2012 ad oggi.

Allora, da parte nostra, dopo la morte di mio figlio, c’era stata la denuncia. Ci sono state le indagini, è stata fatta l’istruttoria. Durante l’istruttoria il PM aveva fatto le indagini su 14 persone. Alla fine ha fatto richiesta di archiviazione per il Direttore, i medici dell’ospedale, e qualche medico della struttura sanitaria. Il rinvio a giudizio è stato chiesto –e accettato- solo per il Dirigente Sanitario più quattro medici che ruotavano nel carcere.

-Quindi si è arrivati al processo, in cui una parte sostanziosa di soggetti verso i quali sicuramente avete molto da ridire, a cominciare da Direttore, aveva avuto la propria posizione archiviata.. voi avevate pensato di opporvi a queste archiviazioni? 

Noi non ci siamo opposti all’archiviazione del Direttore e company perché non volevamo infuocare gli animi, andando contro la volontà del PM, che comunque, in quel contesto, continuava, in un certo senso, ad essere  il nostro tutore.  Comunque sia, finalmente,  un processo, per quanto solo con parte dei soggetti che ritenevamo responsabili, ci sarebbe stato.. Quando, dopo vari rinvii, il processo è, a tutti gli effetti, iniziato, gli imputati hanno chiesto il rito abbreviato. E’ stato ovvio per loro chiederlo. Nel rito abbreviato non sarebbero state sentite le persone che noi volevamo fossero sentiti. Non sarebbero emersi tutti i fatti che noi volevamo emergessero. Il giudice ha accolto la loro richiesta  e loro si sono evitati la pessima figura che avrebbero fatto se fosse venuto fuori tutto quello che avevano combinato. Noi naturalmente ci siamo rimasti malissimo, ci sono cadute le braccia, avremmo voluto il processo vero e proprio.. 

– Io penso che ci sono tipologie di reati e tipologie di cause dove il rito abbreviato non dovrebbe essere accettato, o dovrebbe essere accettato in circostanze molto rare. 

Il giudice poteva non accogliere il rito abbreviato e fare il processo normale, con le varie parti, ascoltando i testimoni. Ma ha preferito accoglierlo. Il processo normale sarebbe stato scandaloso per le istituzioni. Sarebbero venute fuori tante di le magagne che loro hanno combinato. Mentre con il rito abbreviato tutto si è deciso in base alle carte che loro avevano in mano, senza ascoltare nessuno. Non sono stati ascoltati i testimoni che noi volevamo fossero ascoltati. Non sono stati ascoltati i medici di parte mia, quei medici che all’epoca io avevo mandato per fare visitare mio figlio. Il rito abbreviato si è svolto in tre udienze, a porte chiuse,  senza televisioni, senza giornalisti, solo noi e l’altra parte. Considera anche che al momento del processo il PM che aveva fatto le indagini e che aveva chiesto il rinvio a giudizio, è stato sostituito con un altro PM.  In pratica i giudici fanno quello che vogliono. Hanno un potere illimitato. Io dico sempre“i magistrati sono Dio in terra”.

Dopo queste tre udienze, c’è stata la sentenza. Solo un condannato: il Dirigente Sanitario a cui sono stati dati 4 mesi di pena. Tutti gli altri sono stati assolti. C’è da considerare che non era presente il PM che aveva condotto le indagini, era stato sostituito da un altro. Comunque, inoltre, il pubblico ministero del processo non era più il pubblico ministero dell’istruttoria, col quale si era arrivati al rinvio a giudizio.  Poco prima del processo il vecchio Pubblico Ministero era stato sostituito da un altro che, delle cinque persone rinviate a giudizio, aveva chiesto la condanna solo per due, ma per un reato più grave, “abbandono di incapace”, per il quale aveva chiesto una condanna, per entrambi, a tre anni. Va anche detto che, oltre questo, il nuovo pm aveva chiesto che gli atti fossero rimandati in procura, perché venissero fatte nuove indagini. Evidentemente egli vedeva delle responsabilità anche da parte di altri soggetti, altrimenti non avrebbe fatto quella richiesta.

 -Quindi, i soggetti che voi considerate colpevoli erano varie, il primo pubblico ministero ha fatto le indagini sono su 14 persone. Il rinvio a giudizio è stato chiesto e accolto solo per il Direttore Sanitario e altre quattro persone; con l’archiviazione per il Direttore e tutti gli altri. Il secondo pubblico ministero ha chiesto che venissero condannate solo due persone, però anche che gli atti fossero rimandati alla procura; rinvio che no c’è stato. Alla fine è stata condannata una sola persona, il Direttore sanitario, a 4 mesi. E’ così?

Esattamente… una sentenza vergognosa. Per me non va assolutamente bene che gli altri quattro se la siano cavata, e sia stato condannato solo il Direttore Sanitario. In pratica uno sta pagando per tutti. E quanto poi? Quattro mesi? Se la situazione fosse stata capovolta, a mio figlio avrebbero dato quattro mesi? Se per uno schiaffo è stato condannato a sei anni.

Dopo la lettura della sentenza, il Direttore Sanitario si è messo le mani nei capelli ha cominciato a piangere. Mentre stava piangendo, io sono andata da lui e gli ho detto  “stai piangendo? Assassino .. cosa piangi? .. Io sono tre anni che piango l’assassinio di mio figlio.. e tu stai piangendo perché? Perché ci hai rimesso la faccia.. per quattro mesi..?… No dovevi piangere mesi fa quando non riuscivi a venire a capo di questa situazione.. avresti semplicemente potuto fare come Pilato, lavartene le mani e mandare mio figlio in una struttura adeguata a lui, alla sua malattia. E invece con  caparbietà fino alla fine hai dichiarato che mio figlio simulava”.  Mio figlio poteva simulare di non poter mangiare, di non poter camminare, delle cadute continue che aveva? Mio figlio non sarebbe potuto scappare, non sarebbe potuto andare da nessuna parte. E poi noi chiedevamo soltanto la sospensione della pena che significa “sospendiamo la pena, va in ospedale, si cura, e poi quando torna finisce la pena”.

Io so benissimo che mio figlio è stato ucciso. E’ stato ucciso dall’incompetenza, è stato ucciso dall’ignoranza. E’ stato ucciso per loro volere. Non si uccide solo con la pistola.

-Tornando alla sentenza.. 

Gli altri quattro medici erano pienamente responsabili. Ruotavano in carcere come si fa in ospedale. Otto ore ognuno. Tutti hanno visto che mio figlio stava dando l’anima  a Dio. Tutti lo hanno visto. Tutti sono responsabili, anche quelli che non erano stati rinviati a giudizio. A cominciare dal Direttore che sapeva quanto il medico. E poi il Direttore parlo proprio con me quando mi mandò a fare in culo.

Il Direttore Sanitario, comunque, è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali, e al risarcimento danni in separata sede. Risarcimento danni noi non abbiamo chiesto una tot di somma, in quanto non c’è somma che possa ripagare me della perdita di un figlio, mia nuora della perdita di un compagno, i miei nipoti della perdita di un padre.

Io, insieme a mia nuora abbiamo vissuto i 25 giorni di calvario di mio figlio. Abbiamo visto con gli occhi, abbiamo toccato con mano. Tutti sapevano quello che stava succedendo a mio figlio. Tutti, a cominciare dal Direttore, fino all’ultimo gatto del carcere. Ognuno ha le sue responsabilità, ovviamente in maniera diversa, perché un Direttore non può fare il medico e un medico non può fare il Direttore, ma tutti sapevano.

Altra cosa grave. Il processo ha “considerato” il periodo che partiva dal 24 dicembre, la vigilia di Natale, fino al giorno della morte di mio figlio. Ovvero solo gli otto giorni finali.  Tutto il periodo antecedente, dal 5 al 24 dicembre, non è stato considerato. Loro hanno considerato il 24, quando mio figlio era arrivato ormai agli estremi. Tutto quello che è avvenuto prima non è stato preso in considerazione. Questo è stato giustificato dal fatto che fino al 24 non c’erano notizie nella cartella clinica di mio figlio. Non c’è scritta una parola di quello che è stato fatto a mio figlio. Se niente è stato scritto, niente è stato fatto. Ma come ci è arrivato mio figlio alle condizioni in cui era il 24? Io lo so che cosa è successo. Non è stato creduto nessuno che poteva aiutare a ricostruire la verità dei fatti. Non è stato creduto mio figlio. Non siamo stati creduti noi famigliari. Non è stato creduto il medico che avevamo mandato per visitarlo. Non sono stati creduti i legali che presentavano le istanze a raffica una dietro l’altra per poterlo portare in ospedale. Non è stato creduto nessuno. E questo perché? Sono domande a cui non ho avuto risposta. Questo è quello che avviene nelle carceri  italiane.

-Farete bene se vi appellerete. Questa vicenda merita che vi sia una riapertura delle indagini e che si ricominci da zero, facendo un processo vero e proprio e non un rito abbreviato. 

Assolutamente,Ora aspettiamo le motivazioni, perché senza le motivazioni è come parlare di aria fritta. Dobbiamo vedere tutto. Comunque, una condanna, se solo per 4 mesi, anche se ridicola, c’è stata. Alfredo, lo ripeto, a me non interessano i soldi. Ma forse mi potresti dire “se saranno condannati tuo figlio ritorna?”.. no mio figlio non ritorna comunque, ma perlomeno sono stati condannati gli assassini di mio figlio. Perché questo sono. Assassini. 

-Ricordo che quasi nessuno vi aveva dato voce..

E così è stato anche dopo. Noi abbiamo mandato email a tutte le trasmissioni possibili e immaginabili; proprio a tutte. Nessuno si è degnato nessuno anche solo di risponderci. A me non interessava niente dei cashet  delle trasmissioni; lo avrei tranquillamente rifiutato. A me non interessava la visibilità televisiva. Io volevo che l’Italia potesse sapere quello che succede nelle carceri italiane. Quello che è successo a mio figlio. Solo dalla trasmissione Pomeriggio Cinque, quella con Barbara D’Urso, ero stata chiamata. Avevo dato la mia disponibilità, ma, poi, non sono più stata ricontattata.

-La vostra battaglia continua..

Assolutamente.. tutto ciò che la legge mi consente di fare, io lo farò, fino all’ultimo respiro. Perché, l’ho detto. Io ho visto quello che hanno combinato a mio figlio. In questa storia Tutto è allucinante fin dall’inizio. Quando penso a tutte le cose che sono accadute, mi chiedo  “ma forse mio figlio è stato portato a Trani perché avevano deciso di farlo morire?”. E non le nascondo che sono tutti i santi momenti della giornata. Nessuno escluso.

L’Italia deve sapere quello che succede nelle carceri. Deve sapere quello che hanno fatto a mio figlio. Lo hanno fatto morire. Non è che è morto.. lo hanno fatto morire.. che è diverso.. Io ad oggi mi trovo a vedere due bambini senza un padre, io senza un figlio e il piccolino di cinque anni che ogni tanto piange e mi dice “Mi manca papà” e io cosa gli devo rispondere. Dai miei occhi non scendono più lacrime normali, vengono giù lacrime di sangue. La mia vita è distrutta. Io nell’animo sento di non avere più niente dentro. Mi è rimasta solo la rabbia. La rabbia di dovere andare avanti. Io vado avanti ormai con la rabbia.

La foto che ha aperto questo articolo e le foto che lo concludono, sono tra le foto che avevo allegato all’articolo che pubblicai il 3 marzo 2012. La foto di apertura mostro come Gregorio era prima di finire in carcere. Le foto che seguono mostrano  com’era dopo otto mesi di “trattamento” nel carcere di Trani.

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Alfredo Cosco

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La vicenda di Gregorio Durante, fatto morire in carcere
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