DALLE POPPE A LA CIVILTÀ DEL PROSECCO

di Marco Scarpa

 

POPPE

 

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Queste sono alcune righe più o meno in tema con l’ Expo perché c’è un filo conduttore, forse un po’ troppo sottile, che unisce le barche alle tradizioni vitivinicole della terra dove sono nato.
Del resto anche nell’ Expo c’è un filo conduttore troppo sottile: quello che dovrebbe unire i milioni di euro spesi per la mostra con i milioni di bambini che crepano di fame ogni giorno nel mondo.
Probabilmente ciò fa parte dell’ andazzo ormai globalizzato non tanto del “Made in Italy” quanto del “Made in Capital”.
Ma visto il titolo, poiché si vuole qui iniziare trattando di poppe, esistono determinate regole per determinare la forma che una poppa deve avere; risulta arduo però capire la ragione del fatto che, se dette regole esistono, sia le barche a vela che quelle a motore quasi sempre hanno le poppe una diversa dall’altra (dove per “poppe” naturalmente qui si intende l’ insieme delle forme della parte posteriore delle barche).
Il fatto è che le regole sono riassumibili in un solo enunciato, che ancora una volta fu il mare a dettare tanto tempo fa.
In quel tempo il mare disse all’uomo: “E’ inutile che tu ti ostini a fare la prua della tua barca con le forme tondeggianti che vedi nelle teste dei pesci; essi nuotano sott’acqua mentre le barche corrono sopra l’acqua dove hanno a che fare con le mie onde; da’ retta a me, uomo, fai la prua affilata come un coltello e se proprio vuoi esprimere la tua fantasia ti lascio questa libertà nei confronti della poppa.”
E così fu.
Da allora, mentre i progettisti si trovarono tutti d’ accordo nell’affilare il più possibile le linee di prora, non ce ne sono stati due che abbiano buttato giù i disegni di due poppe uguali.
Ne sono nate di altissime, di bassissime, di tonde, di aperte, di affusolate, di piene, di dritte, di rientranti, di sporgenti, di sporgenti-piatte, di sporgenti-rotonde, ed anche di piene-sporgenti-affusolate-a spigolo.
Le linee della poppa di una barca a vela spesso hanno definito uno stile e sono diventate tali e quali alla firma di un progettista, addirittura hanno anche dettato una moda per più stagioni.
Per la verità non è difficile riunire in una sola regola tutti i criteri che sono stati inventati e provati per progettare la poppa ideale: se la barca sta dritta la poppa dovrebbe essere quanto più larga e bassa possibile; se la barca si inclina la poppa dovrebbe essere quanto più stretta e affusolata possibile.
La difficoltà, naturalmente, sta tutta nel trovare una barca a vela che viaggi sempre dritta o sempre inclinata; problema di non facile soluzione.
Allora la scelta migliore diventa il compromesso.
Per trattare la cosa un po’ più tecnicamente, l’interrogativo che un progettista si pone prima di disegnare le linee di poppa di una barca a vela è più o meno il seguente:
“Come posso riunire tra loro le linee che sono così distanti dall’asse longitudinale dello scafo nella sezione di massima larghezza al fine di riuscire a far richiudere i filetti fluidi dell’ acqua che scorre, ma nello stesso tempo tenerle lontane tra loro allo scopo che nelle andature portanti lo scafo si sieda il più tardi possibile nel cavo dell’onda provocata dall’avanzamento dello stesso ? ”
Ovviamente di risposte ad un siffatto interrogativo ce n’ è una infinità, anche per il fatto che il committente (colui cioè che commissiona e paga la barca) ha tutti i diritti di dire la sua.
Questi infatti pone spesso delle ulteriori condizioni, come ad esempio che sotto il pozzetto trovino posto due cabine matrimoniali doppie dotate di altezza d’uomo, doccia, wc, armadi, cala vele, e deposito scarpe aerato.
Povero progettista !
Per quanti sforzi faccia (e spesso sono veramente molti) non riuscirà mai a disegnare la poppa giusta per tutte queste esigenze, dato che sono anche così in contrasto l’una con l’altra.
Se la poppa sarà troppo alta, allora la barca assomiglierà ad un galeone spagnolo del seicento.
Se la poppa sarà troppo pesante, allora la barca tenderà ad essere poggiera e starà “seduta nell’acqua” così da non poter esprimere tutta la sua velocità.
Se la poppa sarà troppo bassa, allora la barca sottocoperta sarà inusabile e costringerà gli occupanti ad andare a dormire in un loculo cimiteriale al quale si accede solo col “passo del leopardo”.
Se la poppa sarà troppo stretta, allora la barca sarà equilibrata al timone anche con vento, bolinerà bene, risentirà poco del moto ondoso alle andature portanti, nelle quali sarà però lenta per la tendenza a “sedersi” già vista prima.
Se la poppa sarà troppo tondeggiante, allora gli occupanti della barca si frattureranno facilmente le dita dei piedi perché scivoleranno nel risalire a bordo dopo aver fatto il bagno.
Se la poppa sarà troppo accessoriata, allora l’armatore verrà deriso perché la zattera di salvataggio, la doccia, il prendisole, la scaletta in teak, il porta-bicicletta, il porta-wind-surf, il vaso per i fiori e quello per il basilico, faranno assomigliare la barca alla spiaggia riservata della “Concessione da Italo – Nolo ombrelloni e sdraio”.
Penso che la strada da percorrere sia ancora lunga, sempreché nel frattempo il mare non si sogni di cambiare le regole mettendosi a sparare onde sia da prua che da poppa; in questo caso forse sarà meglio riporre sottocoperta il vaso del basilico (dal quale noi buongustai mediterranei non riusciamo a separarci mai) che coscienziosamente viene sempre collocato a poppa, dato che gli spruzzi dell’ acqua salata fanno male alla sua salute.
La pianta di basilico, che ha come finalità quella di avere sempre la possibilità di guarnire la pastasciutta con qualcosa di fresco e aromatico nello stesso tempo, a bordo sta benissimo basta che abbia aria, sole e un goccio d’ acqua la sera.
Vive bene anche se lo si innaffia con il fondo di bicchiere di acqua minerale gassata a fine pranzo, è sufficiente infatti allungare il braccio standosene seduti in pozzetto, ed il gioco è fatto.
Non ho ancora provato con l’ aranciata o con il vino, ma sono in contatto con un mio amico austriaco che a giorni mi dovrebbe spedire i risultati della ricerca da lui condotta quest’ estate; l’unico problema è che la bottiglia di vino che gli ho fornito (Prosecco) l’ha trovata subito di suo gradimento e quindi ha provveduto a innaffiare il suo vegetale alternativamente con fondi di bicchiere di aranciata e di birra.
Sono ansioso di sapere il risultato dell’ indagine ma, come ho precisato, non ho ancora alcun dato disponibile; anche perché non ricordo quale Prosecco ho fornito a quel mio amico Karinziano.
Una volta infatti esistevano il Prosecco e il Cartizze (anzi Kartitze, come diceva lui) e non si poteva sbagliare perché venivano prodotti solo e solamente sulle pendici di alcune poche colline raccolte tra Valdobbiadene e Follina, in provincia di Treviso.
Poi – si sa – “il soldo aguzza l’ingegno”, così le colline si sono espanse raggiungendo mezza pianura, le botti in legno si sono moltiplicate e si sono cambiate di abito prediligendo l’acciaio inox, le stagioni si sono emancipate con temperature controllate e autoclavi, i mezzi agricoli vanno e vengono incessantemente tra i filari spruzzando le vigne di (?), le denominazioni di origine di produzione tipica controllata certificata sono sempre di più e più complesse, così alla fine tutti producono prosecco che invariabilmente è diventato tutto buono e tutto uguale in tutte le stagioni dell’ anno e in tutte le annate (si chiama GdP, Globalizzazione del Prosecco).
Tornando al basilico, ricordo che una volta durante una crociera esso fu all’origine di un contrasto così forte tra i membri dell’ equipaggio che uno di essi dovette lasciare la barca e tornarsene a casa via terra.
Naturalmente la responsabilità di quanto accadde non fu della piantina di basilico, la quale altro non chiedeva se non di godersi il sole dell’ estate essendo lasciata il più in pace possibile, bensì del clima psicologico che si era venuto ad instaurare a bordo già poche ore dopo la partenza.
E’ questo uno dei motivi principali che possono far ricordare un viaggio per mare come una delle migliori o delle peggiori esperienze della vita: la miscela dei caratteri di più persone racchiuse in una barca può trasformarle sia in miele che in nitroglicerina.
Ho vissuto personalmente esperienze simili, infatti talvolta ho visto nel breve volgere di qualche giorno delle amicizie trasformarsi in aperte rivalità, se non addirittura in odi .
Il fatto è che se all’esterno cerchiamo tutti di essere forti, dentro invece siamo tutti donnine e ometti molto fragili e questa fragilità, che ci accompagna sempre nella vita quotidiana, vien fuori immancabilmente quando veniamo limitati nella nostra libertà personale.
Figuriamoci in un ambiente così ristretto com’è una barca a vela da diporto, quante possono essere le occasioni di intromissione nella altrui libertà !
A casa nostra andiamo a letto senza chiedere il permesso ad alcuno; in barca invece dobbiamo aspettare che sia tutto sparecchiato, che il tavolo pieghevole sia chiuso, che Anselmo abbia finito di bere l’ultimo bicchiere e abbia finito la partita a carte con Elena, che Gigio sia andato fuori a fumare, che Albertino si sia lavato i denti, che Ginetta abbia fatto pipì, che qualcuno sia uscito a chiudere il rubinetto del gas, e che qualcun’altro abbia sistemato la tensione dell’ormeggio.
Salvo poi alzarci alle due di notte perché la brezza, rinfrescando, fa sbattere lungo l’albero la solita drizza allentata (fune che serve ad issare la vela sull’albero).
L’ area coperta all’interno di una barca a vela di dieci metri è tale e quale a quella del bagno di casa, con la differenza che a bordo bisogna farci stare anche la cucina, il lavandino, l’ armadio, sei posti letto, lo spazio per le vele e per tutti gli altri accessori (mio Dio sono sempre di più !) che ci portiamo appresso in crociera.
Come si fa in una situazione simile a non interferire uno con l’ altro ?
La situazione poi viene ancor più esasperata da un altro fenomeno tipico della vita di bordo:
lo stivaggio dei viveri.
Viste le considerazioni appena svolte sulle ristrettezze degli spazi, è un fatto noto a tutti che gli stipetti di bordo spesso sono troppo piccoli e troppo bassi per contenere le confezioni dei prodotti alimentari che si comprano al supermercato prima della partenza per la sospirata crociera.
Il che significa che i prodotti contenuti in pacchetti scatole e bottiglie spesso devono essere travasati in analoghi contenitori più piccoli per potere essere stivati; questa operazione, poiché viene eseguita in genere da una sola persona, comporta che a bordo un solo membro dell’ equipaggio sappia che il detersivo per i piatti non è più nel flacone verde senza impugnatura ma è passato in quello color aragosta con impugnatura; e che sale e zucchero sono stati versati in due vasi di plexiglas esattamente uguali, mentre l’eccedenza del detergente lattiginoso all’ammoniaca per lavelli si trova ora in un barattolo in vetro con tappo a vite.
Date queste premesse non ci si deve lagnare a bordo se durante la crociera in cucina vengono proposti gli accoppiamenti più divertenti e nello stesso tempo più disgustosi: il thè salato e fumante preso alla mattina presto dopo l’ultimo turno di notte al timone è un toccasana; così come risulta assai deliziosa la minestrina di dado condita con quel tocco di zucchero che la fa sembrare un candito; e che dire del lavello inox sgrassato col candido latte e del fresco bicchiere di sciroppo di menta confezionato col detersivo per piatti al limone verde ?
Paradossi ? Banalità ? Esagerazioni ?
Effettivamente il mio amico Celestino Angelin, che quando venne al mondo ebbe come prima visione quella dei filari delle viti sulle pendici “Super-DOC” di Santo Stefano di Valdobbiadene (andateci se potete e inebriatevi dei profumi e del panorama in contro luce sulla pianura trevigiana), ha adottato una soluzione tutta sua per evitare simili problemi.
Me ne ha parlato al lavoro, qualche giorno dopo aver partecipato alla Barcolana.
“Sai,” – mi fa – “c’ero anch’io alla Barcolana quest’ anno”.
Naturalmente mi son ben guardato da sparare la solita battutina del tipo: “Ah, mi dispiace che non ci siamo incontrati !”, perché se c’è una cosa assolutamente impossibile da realizzare è proprio riuscire ad incontrarsi in tale manifestazione velica….(Che poi gli organizzatori fanno di tutto perché sia una regata, ma io credo che si tratti di una competizione velica solo per i componenti degli equipaggi della decina di barche più veloci, infatti sono dell’avviso che i componenti degli equipaggi delle altre milllesettecentonovanta barche risponderebbero in modo diverso perché irrimediabilmente tagliati fuori dalla lotta).
“Confeziòn colorate troppo ingombranti ?” – ha continuato Celestino – “Esiguità dei spazi ? Cartòn e PVC, vèro e stagnola ? Perché tanti problemi ?
La soluzione è semplice ed è alla portata di tutti: noi non imbarchiamo mai cibi, scatolette, e generi vari; la nostra attenzione va esclusivamente alle bottiglie di Prosecco; impossibile che nascano equivoci; solo sane bottiglie de vèro verde scuro, col tappo rigorosamente de sughero; l’etichetta no importa.
Sai che cosa ho fatto durante la Barcolana di quest’ anno ? Ho stappato ventiquattro bottiglie !
La regata non l’ ho vista.
Non ho “menato” winch né ho tirato scotte e drizze.
Gò manovrà solo col cavatappi.
Non so come siamo arrivati.
Non so gnanca se semo rivài.
Che poi – me ga ditto el Bepi ch’ el zè un poco filosofo – zè proprio così importante rivàr ?”03FR-0631

 Marco Scarpa

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