PALERMO – Sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 21 agosto scorso, la Regione Siciliana ha pubblicato la legge sulla “Disciplina in materia di risorse idriche”.

Una norma che, sulla carta, avrebbe dovuto prevedere il recepimento della normativa europea e nazionale sulla materia. Un problema controverso oggetto di critiche e di polemiche da decenni. La norma introdotta da Crocetta è solo l’ultimo tassello di una vicenda che interessa i siciliani da tanti, troppi anni.

E che pare continuerà a farlo: oggi, il Consiglio dei Ministri, ha impugnato la norma in quanto “numerose disposizioni contrastano con le norme statali di riforma economico sociale in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente, spesso di derivazione comunitaria, eccedendo in tal modo dai limiti posti alle competenze regionali dall’art. 14, primo comma, dello Statuto speciale della Regione, e violando altresì l’art. 117, secondo comma, lett. e) ed s), Cost., e l’art. 117, primo comma, della Costituzione. In caso di approvazione di una nuova normativa da parte dell’Assemblea regionale siciliana che riveda completamente il testo, il Governo potrà valutare l’opportunità di riesaminare il ricorso”.

Fabrizio Ferrandelli del Pd ha commentato in modo ironico l’accaduto e ha inviato a Palazzo dei Normanni, sede del Governo regionale, un attestato di inserimento nel Guiness dei Primati, con la seguente motivazione: “Al più incapace governo regionale della storia della Sicilia, guidato da Rosario Crocetta, e ai 90 deputati dell’Assemblea Regionale Siciliana che non lo mandano ancora a casa, per avere approvato tre leggi, (appalti, province e acqua), tutt’e tre impugnate dal governo nazionale. La Sicilia continua a collezionare primati negativi per responsabilità di una politica inadeguata e affezionata non alla Sicilia ma alla poltrona. Altro che rimpasto e azzeramento, dobbiamo mandarli tutti a casa. Azzerarli tutti. Non c’è più tempo da perdere: ogni giorno in più di permanenza di questo governo e di questi 90 deputati è un giorno in meno di futuro per i siciliani”.

Immediato il commento dell’ufficio del presidente della regione: “Il governo regionale, sulla base del confronto già avviato con il governo nazionale, convocherà immediatamente la commissione parlamentare, l’assessore competente e l’ufficio legislativo e legale della Regione, per valutare insieme gli atti necessari da compiere per superare il problema”.

Una decisione quella di impugnare la norma regionale per la disciplina delle risorse idriche che, in realtà, potrebbe essere solo l’ennesimo tassello di un mosaico che giorno dopo giorno sta prendendo forma. Un quadro che prevede la sottomissione della Sicilia ai dictat nazionali e la fine dell’autonomia. Il duro colpo al governo regionale, infatti, segue di pochi giorni la pesante batosta ricevuta dall’amministrazione regionale a Milano, in occasione della riunione nazionale dei Contratti di Fiume. Un evento al quale l’Amministrazione regionale ha ritenuto di non dover partecipare, pur avendo approvato, solo pochi giorni fa (il 25 Settembre), un documento con il quale aderiva alla Carta Nazionale dei Contratti di Fiume “condividendone i principi e i contenuti”. La Giunta, però, in quell’occasione ha accentrato la gestione di questo strumento sia da un punto di vista programmatico che dal punto di vista attuativo. Una decisione che non è piaciuta alle decine di sindaci dei comuni siciliani che hanno creduto in questo strumento per la gestione del territorio: ad oggi, sono ben 143 i comuni siciliani (su un totale di 390) che hanno aderito ad un Contratto di Fiume. Comuni che, nel corso della manifestazione di Milano hanno ricevuto il sostegno degli organizzatori dell’evento: nel corso dell’incontro di Milano, è stato ribadita la necessità di adottare un approccio bottom up (ovvero non centralistico, che parte dal basso e dalle esigenze dei beneficiari finali degli interventi).

Si tratta solo dell’ennesimo esempio dell’incapacità della Regione Sicilia di far valere i diritti concessi dallo Statuto Autonomo. Solo pochi giorni fa l’Assemblea regionale deciso a maggioranza di non votare per chiedere che venisse indetto il referendum contro le trivellazioni nel Mediterraneo. In questo modo si è guadagnata il premio di unica regione interessata dal problema a non averlo fatto. Un doppio smacco dato che, grazie alla delibera di Basilicata, Marche, Molise, Puglia e Sardegna, il referendum si terrà lo stesso. Ma anche perché, come nel caso della gestione delle risorse idriche, la Regione ha dimostrato di non essere capace di far valere i diritti concessi ai siciliani dallo Statuto per l’Autonomia (in entrambi i casi le competenze sono della Sicilia e quindi dell’Ars).

In Sicilia il problema legato alla gestione dell’acqua pubblica sono oggetto di dispute da oltre 40 anni. Una battaglia tra servizio pubblico essenziale e privatizzazioni che finora non ha avuto né vinti né vincitori, ma solo vittime: i siciliani ovvero quelli che, in cambio di servizi scadenti e, in certi casi, quasi inesistenti, hanno pagato all’Amministrazione regionale e al governo centrale un prezzo troppo caro.

Un problema che, dopo l’impugnativa del Consiglio dei Ministri, è diventato “nazionale”.

C. Alessandro Mauceri

CAlessandro Mauceri

 

Il governo Renzi boccia le leggi dell’Assemblea regionale siciliana
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