Renzi e Mussolini: corsi e ricorsi storici

di C. Alessandro Mauceri

dazebaonews

Renzi Mussolini“Renzi è come Mussolini, non ascolta nessuno”, ad affermarlo non è il gufo di turno ma addirittura Elena Curti, figlia di Benito Mussolini (è nata nel 1923 da una relazione tra il duce e Angela Cucciati) che, in una intervista su Libero, ha detto di Matteo Renzi: “Mi ricorda Mussolini”.

“Nuovo che avanza”, rottamatore, “governo del fare”: sono tutti nomi per definire Renzi. Strumenti di marketing con cui il presidente del consiglio vuole dimostrare la netta rottura con il passato e, forse, giustificare scelte pesanti e a volte impopolari, ma, secondo lui, necessarie per salvare il paese e la sua economia.

Parole e frasi che spesso finiscono per riempire le prime pagine dei giornali con titoli a quattro colonne.  Molte di queste frasi, però, erano già finite sui giornali. Durante il periodo fascista.

Frasi come: «Con l’onore e la disciplina cambieremo il Paese». Parole lodevoli (prese singolarmente), ma che, dette così, non possono non ricordare quelle pronunciate da Mussolini: «La libertà senza ordine (onore) e disciplina significa dissoluzione e catastrofe».

Parole spesso seguite da azioni altrettanto poco originali.

Ad esempio, alcune delle misure introdotte recentemente con la Buona Scuola somigliano in modo inverosimile a misure analoghe pensate e imposte durante il periodo fascista. Come quella che dovrebbe dare la possibilità ai presidi di “suggerire” gli insegnanti da assumere: peccato che facesse parte di una legge varata da Mussolini nel giugno del 1923.

Molte delle decisioni imposte agli italiani da Mussolini furono possibili perché l’Italia usciva da una grave crisi economica conseguenza della Prima Guerra Mondiale. Allo stesso modo, oggi, molte decisioni vengono presentate come necessarie a causa della crisi economica che ha seguito il crollo della borsa di New York.

La crisi che seguì il primo conflitto mondiale, spinse Mussolini ad introdurre le accise sui carburanti: la prima fu decisa nel 1935 (1,90 lire al litro sulla benzina per finanziare la guerra di conquista dell’Abissinia). Renzi (ma anche molti dei suoi predecessori) non ha voluto essere da meno: con la legge di stabilità, il governo ha previsto nuove accise sui carburanti per complessivi 998 milioni di euro nel caso non arrivasse il via libera dell’Unione europea per l’inversione dell’Iva (cose che si è regolarmente verificata).

Mussolini intervenne sulla legge elettorale. Nel 1928 la Camera approvò (anche allora con voto di “fiducia”) una modifica alla legge elettorale: gli elettori avrebbero dovuto esprimersi con un “sì” o un “no” sul complesso della lista e non esprimere preferenze nominali. Un sistema più simile di quanto non sembri all’Italicum.

Il regime fascista cercò di abolire anche il criterio elettivo nella formazione degli organi locali e provinciali. Con la legge 237 del 1926, le amministrazioni comunali e provinciali (prima elettive), furono scelte dal governo e il sindaco fu sostituito con un podestà di nomina governativa. Oggi il numero di enti locali commissariati dallo stato (e quindi gestiti in modo non elettivo) è enorme e da tempo si sta facendo di tutto per eliminare le province e sostituirle con enti la cui gestione è affidata a persone non elette dai cittadini.

Durante il periodo fascista, il governo introdusse una serie di misure liberiste che fecero aumentare il Pil (del 4% circa). Ciò fu fatto soprattutto a spese dei lavoratori: la disoccupazione aumentò (anche a causa dei minori investimenti nell’industria privata) e i salari vennero ridotti (dal 10% al 30%) addirittura con una legge. Anche la liberalizzazione dei contratti di lavoro ebbe effetti negativi sull’occupazione.

Nonostante le promesse di Renzi circa gli effetti della legge sul lavoro, il Jobs Act, l’Istat ha confermato che nell’ultimo periodo si sono persi ben 130.000 posti di lavoro. E le retribuzioni (sempre secondo i dati Istat), negli ultimi anni, sono calate.

Anche la situazione delle banche nei due periodi storici (quello attuale e quello degli anni venti e trenta) presenta somiglianze sorprendenti. Durante il fascismo, le principali banche che avevano concesso prestiti ad aziende e privati si ritrovarono in crisi. Le casse di molte banche si trovarono piene di pezzi di carta senza valore. A poco servì essersi appropriate di un ingente patrimonio immobiliare (frutto di ipoteche e fallimenti): molte banche si trovarono con grossi problemi di liquidità e ci furono seri rischi di trascinare nel baratro la Banca d’Italia.

In poche parole esattamente la stessa situazione in cui si trovano, oggi, molte banche: dopo aver concesso prestiti e fatto investimenti azzardati (si pensi ai derivati, molti dei quali sottoscritti da enti pubblici o ai finanziamenti a grandi imprese di dubbia solvibilità), sono molte le banche che attraversano un momento di difficoltà.

Mussolini, per risolvere il problema, creò prima l’IMI e poi l’IRI: due enti con i quali lo stato acquistò azioni ormai prive di valore dalle banche e si fece carico dei rischi dei maggiori investimenti industriali. Fu grazie a queste misure che Mussolini salvò dalla bancarotta l’Ansaldo, il Banco di Roma e l’Ilva (1923-24).

Anche oggi molte banche sono in crisi (si parla di perdite per centinaia di miliardi di euro): e il governo Renzi, come ha dichiarato anche il ministro Padoan, è in procinto di varare una bad bank, uno strumento per correre in aiuto delle banche accollandosi i titoli più a rischio.

Molti lo scorso anno rimasero sorpresi delle misure innovative introdotte da Renzi. Come, ad esempio, i famosi “80 euro”.

Prima di sorprendersi, queste persone farebbero bene a dare un’occhiata alle misure “sociali” introdotte da Mussolini: dall’’Assicurazione contro la disoccupazione (R. D. 3158 – 30/12/1923) all’esenzione tributaria per le famiglie numerose (R.D.1312 – 14/6/1928); dall’istituzione del libretto di lavoro (R.D. 112 – 10/1/1935) agli assegni familiari e alle integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a orario ridotto (R.D. 1048 – 17/6/1937).

Nel dicembre 1925, entrò in vigore la legge n. 2307 sulla stampa: i giornali dovevano essere diretti, scritti e stampati solo se avessero avuto un responsabile riconosciuto dal prefetto, vale a dire dal governo. Nel 1928, Mussolini istituì l’ordine dei giornalisti e introdusse una serie di limitazioni alla libertà di stampa. In un discorso ai  giornalisti, tenuto a Palazzo Chigi, il 10 ottobre 1928, disse: “La stampa più libera del mondo intero é la stampa italiana. Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime; é libero perché, nell’ambito delle leggi del Regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione”. Durante il fascismo, in Italia, la libertà di stampa divenne una mera chimera: ai giornali veniva consentito di dire solo quello che voleva il regime.

Una situazione non molto diversa oggi: in una recente classifica, a cura di Reporters sans Frontières, è emerso che l’Italia, nel 2014, ovvero durante il governo Renzi, si è classificata al 73esimo posto nel mondo, perdendo più di venti posizioni in un solo anno (occupava il 49esimo posto nel 2013, periodo pre-Renzi). Ma non basta. Nel corso del consiglio dei ministri che si è occupato della riforma della scuola è stata discussa anche la nuova governance della Rai: “abbiamo avviato l’esame del ddl, lo presenteremo nel prossimo CdM, con Guidi, Giacomelli e Padoan”, ha spiegato Renzi. “Le forze politiche vigilino e indichino le persone, ma non discutano la nomina di un caporedattore”: in altre parole tra i piani del governo c’è anche che la Rai, la televisione di stato, venga gestita da una persona sola, incaricata direttamente dal governo. Una persona che avrà “la responsabilità di guidare l’azienda senza continuamente mediare con il CdA sulle scelte operative”. In altre parole quasi un commissariamento da parte del governo.

Un’altra cosa che accomuna questi due periodi storici è la volontà di creare in Italia una sorta di monopartitismo: dopo la decisione di alcuni esponenti del Pd di lasciare il partito dato che al suo interno (a quanto hanno riferito) non esiste dialogo, pare che Renzi sia al lavoro per creare quello che è stato chiamato il Partito della Nazione, un grosso movimento politico di centro, senza parti ideologiche, in cui potrebbero confluire anche molti fuoriusciti del centrodestra (tra cui molti berlusconiani pentiti). Un partito che grazie all’Italicum potrebbe fare e disfare in modo incontrastato in Parlamento.

Superfluo il confronto con il passato fascista.

E ancora. Tra il 1926 e il 1929, durante Mussolini, sorsero discussioni sul ruolo che il sindacato doveva rivestire all’interno del sistema. Con il “Patto di Palazzo Vidoni” fu abolita la pluralità rappresentativa dei lavoratori, che venne sostituita con il sindacato unico obbligatorio. La creazione del sindacato unico fu decisa con la legge 563/26. Pochi giorni fa, Renzi, intervenendo a ‘Bersaglio mobile’ su La7, ha detto: “Spero che anche tra i sindacati si possa tornare a discutere e che prima o poi si arrivi al sindacato unico”.

“La Storia mi darà ragione” furono queste le parole di Benito Mussolini al giornalista Gian Gaetano Cabella, ex direttore del Popolo di Alessandria, il 20 aprile 1945. Parole che ricordano molto quelle pronunciate al senato da Renzi appena insediato, nel 2014: “… E spero che la storia ci darà ragione”.

C’è da sperare che almeno in una cosa il governo Renzi non segua l’esempio del duce. Tutti sanno come finì il periodo di Mussolini: non molto tempo dopo l’ascesa la sua potere e l’accentramento del potere nelle sue mani, l’Italia entrò in guerra.  Si spera che, almeno in questo, la storia dei due politici sia diversa.

C. Alessandro Mauceri

CAlessandro Mauceri

 

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