LE BOLLE FINANZIARIE

seconda parte

 

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  1. Breve cronistoria delle bolle, delle truffe e dei bluff finanziari

    1. Fernand Braudel, massima autorità in questi argomenti, afferma che esistevano a Firenze nel XIV secolo mercanti di titoli mobiliari, e che molto prima di allora vi era un vivace scambio di monete e merci con acquisti e vendite basati non sul valore attuale, ma su un valore immaginato in prospettiva. In realtà, tra i mercanti genovesi e del bacino del Mediterraneo vi era l’usanza imposta dai primo di pagare i loro acquisti con promesse di pagamento “lettere di credito” in cui il mercante genovese impegnava la sua credibilità e prometteva di pagare a vista in moneta avente “valore reale” (monete in oro, argento, ecc.). Sono pertanto i Genovesi ad inventare quella che possiamo definire come finanza moderna.

    2. Perché questo modo di fare non ha mai provocato bolle, truffe o bluff? Semplicemente perché i mercanti genovesi avevano maggior interesse a mantenere i rapporti con i loro fornitori, piuttosto che truffarli. I mercanti sapevano benissimo che alla prima truffa avrebbero perduto il gran vantaggio di acquistare con promessa di pagamento, piuttosto che con moneta reale. A quel tempo la navigazione era molto rischiosa perché le navi correvano il rischio di essere affondate da tempeste, o di essere assalite da pirati, sia nel viaggio di andata che in quello di ritorno. Se il rischio connesso alle merci trasportate non poteva essere evitato, quello connesso al trasporto di moneta per il pagamento poteva esserlo, firmando sul posto di acquisto lettere di pagamento. La loro reputazione era talmente tanto evidente e riconosciuta che tutti accettavano le loro promesse.

    3. Perché non vi era commistione tra potere politico e finanza?

Perché il mercato era globale. Perché la credibilità del mercante era pari, e forse superiore a quella del suo governo. Perché il mercante aveva interesse a creare nuova ricchezza reale, la sola vera e reale, quindi non semplice ricchezza finanziaria che ridistribuisce solo la ricchezza esistente, senza crearne di nuova. Perché forse aveva già capito che la semplice ridistribuzione di ricchezza è un gioco a somma zero, in cui per una somma vinta vi deve per forza essere un’equivalente somma persa, proprio come nelle correnti lotterie. Perché la commistione tra potere politico e finanza nasce con la nascita degli Stati nazionali (Portogallo, Spagna, Francia, Inghilterra, Olanda), superpotenze politiche e militari che potevano ricorrere all’economia di rapina.

a) La bolla dei bulbi di tulipano

La prima bolla finanziaria riconosciuta nella storia è quella dei bulbi di tulipano scoppiata nel primo mercato azionario moderno, quello di Amsterdam. Tanti ingordi sciocchi cominciarono ad acquistare bulbi di tulipano, solo perché si era sparsa la voce che questi avrebbero raggiunto quotazioni difficilmente immaginabili nel breve-medio termine. Molti cominciarono a comprare e, più si comprava, più le quotazioni salivano. Tutti erano convinti che tutto questo era razionale e pieno di buon senso. Lo stesso convincimento della mia amica nel vendere il suo immobile. Anche se l’immobile era niente più che una baracca, lei voleva una cifra astronomica perché i prezzi degli immobili sono sempre aumentati, e perché a Roma tutti erano convinti di questo. L’immobile della mia amica è ancora là da vendere.

In un brano memorabile, Mackay descrive l’umore del Paese mentre la speculazione proseguiva:

Nel 1636 la domanda di specie rare di tulipani aumentò talmente che furono aperti regolari empori per la loro vendita ad Amsterdam, presso la borsa, a Rotterdam, Harle, leida, Alkmar, Hoor, e altre città…. Dapprima, come avviene nelle infatuazioni per i giochi d’azzardo, la fiducia era alle stelle e tutti guadagnavano. Operatori di tulipani speculavano sull’aumento e sulla diminuzione delle scorte di bulbi e realizzavano lauti profitti acquistando quando i prezzi cadevano e vendendo quando salivano. Molti divennero improvvisamente ricchi. Un’esca dorata penzolava invitante davanti alla gente e uno dopo l’altro tutti si precipitavano agli empori di tulipani come mosche intorno a un barattolo di miele. Ciascuno era convinto che la passione per i tulipani sarebbe durata per sempre e i ricchi di ogni parte del mondo avrebbero trasmesso i loro ordini in Olanda e avrebbero pagato qualsiasi prezzo fosse stato loro chiesto. I ricchi d’Europa si sarebbero accalcati sui litorali dello Zuider Zee, e la povertà sarebbe stata bandita dalla fortunata terra d’Olanda. Nobili, cittadini, agricoltori, operai, marinai, valletti, persino spazzacamini e vecchie lavandaie si dilettarono nella speculazione sui tulipani. Persone di ogni ceto convertirono le loro proprietà in contante per investirlo in fiori. Case e terre erano offerta in vendita a prezzi rovinosamente bassi o dati in pagamento di contratti conclusi sul mercato dei tulipani. Gli stranieri furono colpiti dalla stessa frenesia, e il denaro affluì in quella terra da tutte le direzioni. I prezzi dei beni di prima necessità salirono di nuovo gradualmente: con loro, anche case e terre, cavalli e carri, beni di lusso di ogni genere crebbero di valore, e per qualche mese l?Olanda sembrò la vera anticamera di Pluto. Le operazioni commerciali divennero così vaste e intricate che si rese necessario redigere un codice di leggi per regolare l’attività degli operatori…. Nelle città più piccole, dove non esisteva una borsa, veniva scelta come” luogo di esposizione” la taverna principale, dove ricchi e poveri compravano e vendevano tulipani e confermavano l’accordo con sontuosi ricevimenti. A questi pranzi partecipavano talvolta due o trecento persone, e grandi vasi di tulipani in fiore venivano posti a intervalli regolari sui tavoli e sulle credenze per gratificare gli invitati durante il pasto.”

La fine giunse nel 1637. Le leggi della razionalità e del buon senso ebbero ancora una volta il sopravvento. Nessuno sa per quale ragione, forse i più saggi o i più nervosi cominciarono a liberarsi dei bulbi; altri se ne accorsero e la corsa a vendere divenne panico. “I prezzi caddero in un precipizio. Quelli che avevano comperato, molti impegnando le loro proprietà per ottenere credito – ecco la leva finanziaria – vennero all’improvviso privati di tutto o spinti al fallimento” , afferma Galbraith. “Agiati mercanti furono ridotti quasi alla mendicità e molti discendenti di nobile stirpe videro la fortuna della loro casata annientata al di là di ogni riscatto”, scrive Mackay.

Questa tipologia di bolla finanziaria può essere classificata sotto la tipologia I “guru della finanza” contro gli “ingordi sciocchi”.

b) John Law e la Banque Royale

La seconda bolla in ordine cronologico, e differente per tipologia da quella dei bulbi di tulipano è il piano di John Law, che si proponeva di pagare i debiti della Francia vendendo azioni di inesistenti miniere d’oro in Lousiana.

John Law era uno scozzese nato nel 1671 da una famiglia nota nel mondo della finanza, giacché suo padre, orefice ad Edimburgo, come molti nella sua professione, era solito detenere e prestare denaro. John ebbe occasione di conoscere il funzionamento della grande e prosperosa Banca di Amsterdam e concepì l’idea di una banca che potesse acquisire proprietà fondiarie ed emettere moneta garantita dal valore della proprietà immobiliare. Le modalità esatte di riscatto delle proprietà non erano definite. Questa idea (che sa tanto di recente, comunque, fu decisiva per la sua futura carriera. A Parigi nel 1716 il momento era propizio. Luigi XIV era morto l’anno prima, lasciando due pesanti eredità che sarebbero state risolutive per Law: un erario sull’orlo della bancarotta derivante dalle lunghe guerre, dalla prodigalità del Re Sole, e dalla dilagante corruzione degli esattori delle imposte cui toccava il compito di assicurare un gettito di entrate allo Stato; il reggente di Luigi XV, Filippo II, di intelletto modestissimo e con profondo autoconvincimento.

Il 2 maggio del 1716 gli fu concesso il diritto di istituire la Banque Gènèrale, che diventerà in seguito la Banque Royale con capitale di sei milioni di £. Nella concessione era inclusa l’autorizzazione ad emettere biglietti di banca che venivano usati per pagare l’amministrazione dello Stato e per riacquistare il debito pregresso. “I biglietti di banca dichiarati convertibili”, cita Galbraith4, “in moneta metallica a richiesta erano ben accetti. Ma, per il solo fatto di essere graditi, vennero emessi in misura sempre maggiore.

Quel che occorreva, ovviamente, era una fonte di guadagno in moneta pregiata che apportasse entrate atte a sostenere le emissioni di biglietti di banca. Tale fonte fu fornita in teoria dall’organizzazione della Compagnia del Mississippi (la Compagnia d’Occidente) – successivamente, e con più ampi privilegi, la Compagnia delle Indie – allo scopo di sfruttare i giacimenti auriferi che si presumeva esistessero nel grande territorio nordamericano della Louisiana. Non vi era alcuna prova dell’esistenza dell’oro ma, come sempre in questi episodi, non era tempo di dubbi o scetticismi. Azioni della Compagnia vennero offerti al pubblico, e la risposta fu sensazionale. La vecchia borsa di Rue Quincampoix diventò la scena di una delle più vivaci, persino tumultuose, operazioni di tutta la storia della cupidigia finanziaria. Alla fine la collocazione dei titoli e gli scambi furono trasferiti nella più spaziosa Place Vendôme e nelle vicinanze dell’Hôtel de Soissons. Vi furono acquirenti femminili così risolute da arrivare, con una sensibilità curiosamente moderna a offrire se stesse per il diritto di acquistare azioni. Negli anni Ottanta, in una situazione un po’ diversa, pare che alcuni clienti piuttosto vulnerabili di Michel Milken e della Drexel Burnham Lambert, che partecipavano all’annuale Ballo dei Predatori – così venivano chiamati – al Beverly Hills Hotel, abbiano goduto dell’attenzione di prostitute appropriatamente ascetiche. Lo scopo era spingerli all’acquisto di “junk bonds” (obbligazioni spazzatura) molte delle quali erano in prospettiva paragonabili alle azioni della Compagnia d’Occidente.

I proventi della vendita delle azioni della Compagnia del Mississippi non venivano spesi nella ricerca dell’oro ancora da scoprire, ma andavano allo Stato per pagare i propri debiti. E le stesse banconote uscite per saldare il debito tornavano indietro per acquistare altre azioni. Nuove azioni venivano allora emesse per soddisfare in maggior misura l’intensa domanda, la quale ultima aveva l’effetto di far lievitare sia le vecchie sia le nuove emissioni a livelli più improbabili. Le banconote di questa circolazione –da intendersi in un senso del tutto letterale – erano garantite dall’oro della Banque Royale, ma l’ammontare della moneta metallica che sosteneva le banconote divenne subito minuscola in rapporto al volume della carta. Ciò configurava una forma particolarmente portentosa di leva finanziaria.

La fine venne nel 1720. La leva si mosse bruscamente al rovescio, come si doveva sperimentare in un centinaio di avvenimenti simili, grandi e piccoli, dei successivi 250 anni. Si dice che a far precipitare gli avvenimenti sia stato il principe di Conti il quale, irritato per non essere riuscito ad acquistare le azioni, decise di presentare le sue banconote alla Banque Royale per farle convertire in oro. Secondo la leggenda, gli furono restituiti tre vagoni di metallo ma Law ottenne l’intervento del reggente che ordinò al principe di rimandare indietro l’oro. Nel frattempo l’idea che l’oro potesse essere preferibile alle banconote si era diffusa. Per far tornare la fiducia e convincere detentori di biglietti di banca e investitori dell’imminente arrivo di una grande quantità di metallo, fu reclutato un battaglione di mendicanti parigini che, muniti di pale, marciarono per le strade della capitale come se fossero in partenza per le miniere della Lousiana. Ma quando, nelle settimane seguenti, molti “cercatori d’oro” furono visti tornare nelle loro baracche, ebbero inizio le più atroci congetture. La gente in preda al panico si precipitò alla banca per convertire i propri biglietti non in azioni della Compagnia del Mississippi ma in oro. In un giorno di luglio del 1720 quindici persone persero la vita nella calca davanti alla Banque royale. Le banconote furono dichiarate non più convertibili. I corsi, e non solo quelli delle azioni del Mississippi crollarono. Cittadini che una settimana prima erano milionari –un termine indispensabile che ci viene da quegli anni- si trovarono sul lastrico”.

Anche qui la ricerca di un capro espiatorio fu immediata ed abbastanza semplice. John Law, giocatore ed assassino evaso, al quale un sovrano riconoscente aveva affidato il più elevato incarico pubblico del regno, fu costretto a lasciare la Francia e rifugiarsi in Inghilterra, quell’Inghilterra che lo aveva condannato per omicidio, ma che gli concesse la grazia. In seguito si rifugiò, vivendo in decorosa povertà una vita tranquilla, morendo col conforto dei Sacramenti della Chiesa.

c) La bolla del Pacifico meridionale

Mentre la grande speculazione di John Law raggiungeva il culmine in Francia, qualcosa di simile avveniva a Londra nel 1720. La follia generata dall’ottimismo, dall’illusione e dall’ingordigia che si alimentano da soli delineano una storia di due città.

Afferma Galbraith5: “La scoperta, o meglio, come al solito, la riscoperta che sta all base del boom fu quella della società per azioni. Questo tipo di società esisteva in Inghilterra da cent’anni e più; ciononostante, essa si impose all’improvviso come il nuovo miracolo della finanza e dell’intero mondo economico.

Nei primi anni del XVIII secolo vi erano state alcune proposte assai strane di fondazione di società per azioni: un’impresa, davvero in anticipo sui tempi, per la costruzione di una macchina per scrivere; un progetto per una sofisticata mitragliatrice in grado di sparare pallottole sia rotonde sia quadrate a seconda che il nemico fosse cristiano o turco; un progetto per un piano meccanico…. ‘Posso misurare il moto dei corpi’ osservò una volta Isaac Newton, ‘ma non l’umana follia’. E non lo potè nemmeno per quanto riguardava se stesso, visto che doveva perdere 20.000 sterline, pari ad un milioni di dollari odierni, nell’orgia speculativa che si stava profilando.

La Compagnia dei Mari del Sud (South Sea Company) venne creata nel 1711 per impulso o, forse più precisamente per ispirazione, di Robert Harley, conte di Oxford, che fu affiancato da un tale John Blunt, scrivano di professione, esperto nel copiare documenti legali come pure nel far uso del loro contenuto.

Le origini della Compagnia ricordano quelle della Banque royale e della Compagnia del Mississippi. Essa forniva una soluzione apparente ma ingannevolmente benvenuta alla pressione del crescente debito pubblico che, come in Francia era stato accumulato negli anni precedenti durante la guerra di successione spagnola. In cambio del riconoscimento del suo privilegio, la compagnia assunse su di sé questo disparato debito pubblico e lo consolidò. Lo Stato pagava un interesse al 6 per cento e le concedeva il diritto di emettere azioni e di avere l’esclusiva del commercio e del traffico, a far data dal 1° agosto 1711, da, verso e all’interno dei regni, territori ecc. d’America sulla costa orientale del fiume Aranoca, all’estrema parte della Terra del Fuego…

Veniva deliberatamente trascurato il fatto che la Spagna rivendicava il monopolio su ogni traffico e commercio con quella vasta regione……

Sarebbe stato difficile, in realtà, immaginare un progetto commerciale più discutibile. Ma qui, come a Parigi, non era il momento delle perplessità. Ulteriori emissioni di azioni in corrispettivo di ulteriori assunzioni di debito pubblico vennero autorizzate e offerte sul mercato e, all’inizio del 1720, fu assunto ulteriore debito pubblico. Tali erano i presunti vantaggi dell’impresa. La discussione delle leggi riguardanti la Compagnia fu facilitata dall’elargizione di azioni ai ministri-chiave del Governo. Giovò anche la circostanza che diversi direttori dell’impresa sedevano in Parlamento e avevano, di conseguenza, l’eccellente possibilità di far conoscere in quella sede le grandi prospettive aperte alla Compagnia, i cui direttori furono anche generosi nel riservare pacchetti azionari a se stessi…….

Le scene di Rue Quincampoix si ripetono nelle vie e nei viali della City.; le azioni della Compagnia, che erano state quotate a 128 sterline circa nel gennaio 1720, salirono a 330 in marzo, 550 in maggio, 890 in giugno e circa 1.000 sterline a estate inoltrata. Mai nel regno, e forse nemmeno a Parigi o in Olanda, tante persone erano diventate così ricche all’improvviso. Come sempre, la vista di chi arricchiva senza sforzi ingrossò la folla di coloro che volevano partecipare e la spinta verso l’alto ne fu ancora più rafforzata.

La Compagnia dei Mari del Sud non fu l’unica opportunità di offerta. Il suo successo generò almeno un centinaio di imitatori e parassiti, tutti animati dalla speranza di prendere parte al boom……

Nel luglio 1720, finalmente, il Governo intimò un alt. Fu approvata una legge –il Bubble Act- che proibiva la costituzione di tali società, meno, come si è sempre pensato, per proteggere gli sciocchi e gli ingenui che per tutelare il monopolio speculativo della Compagnia stessa.

Tuttavia, a quell’epoca, la fine della Compagnia era già in vista. Le azioni subirono un tracollo, in parte, senza dubbio, per effetto di vendite di realizzo da parte di membri altolocati della Compagnia. A settembre il corso era sceso a 175 sterline, a dicembre a 124. Furono compiuti sforzi eroici, retorici e d’altro tipo, per sostenere e rinvigorire la fiducia, compresa la chiamata a soccorso della Banca d’Inghilterra di recente costituzione. Alla fine, con qualche appoggio da parte dello Stato, le azioni si stabilizzarono interno alle 140 sterline, circa un settimo del loro valore massimo. Come in precedenza, e come accadrà anche in seguito, il crollo, una volta arrivato, travolge ogni tentativo di fermare il disastro e invertire il corso.

Subito cominciò, tenace e persino brutale, la ricerca dei capri espiatori. Blunt, ormai sir John Blunt, sfuggì per poco alla morte quando un aggressore, presumibilmente una vittima, cercò di abbatterlo a colpi di pistola in una strada di Londra. Più tardi si salvò consegnando al Governo i suoi complici nella cospirazione: un modo di procedere comune anche nei nostri tempi. Gli esponenti della Compagnia vennero espulsi dal Parlamento e ai direttori e agli alti funzionari (compreso Blunt) venne confiscato il denaro e le proprietà a parziale risarcimento dei danneggiati. Robert Knight, il tesoriere riparò sul continente, ma venne ricercato, imprigionato e fatto oggetto di una richiesta di stradizione. Riuscì ad evadere e visse in esilio i ventuno anni successivi. James Craggs, anziano e autorevole statista coinvolto nell’affare, si suicidò. Altri finirono in galera. Come per i tulipani e per John Law, la vita economica della City di Londra e quella del Paese nell suo complesso uscirono dalla vicenda fortemente depresse.

Tutte le caratteristiche prevedibili dell’aberrazione finanziaria erano qui ben in vista. Vi fu il massiccio indebitamento acceso a fronte degli esigui pagamenti per interessi del Tesoro per il subentro nel debito pubblico. I protagonisti si lasciarono influenzare dalla fiducia nel proprio acume e nelle proprie conoscenze finanziarie e trasmisero l’errore ad altri. L’occasione di investimento fu ricca di prospettive immaginarie ma irrisoria in una serena visione della realtà. Qualcosa di apparentemente eccitante e innovativo catturò l’immaginazione del pubblico, in questo caso la società per azioni, nonostante, come si è già osservato, essa avesse origini precedenti. (Le grandi compagnie privilegiate, costituite per il commercio in India e altrove, erano già vecchie di un secolo). Quanto alla forza operativa, regolarmente messa in ombra, essa fu come sempre l’evasione nella follia collettiva da parte di individui alla ricerca del guadagno.

Quest’ultima circostanza ebbe tuttavia, alla fine, un riconoscimento eccezionale. Charles Mackay, in una ricostruzione singolarmente acuta della ‘Bolla? (Bubbole) del Pacifico Meridionale, pone in evidenza questa verità:

[Nell’autunno 1720] in quasi ogni città di una certa importanza dell’Impero si tennero riunioni pubbliche in cui furono votate petizioni che invocavano la vendetta dell’assemblea legislativa sui direttori della Compagnia dei Mari del Sud, i quali con le loro pratiche fraudolente, avevano condotto il Paese sull’orlo della rovina. Nessuno sembrava afferrare che la nazione stessa era altrettanto colpevole della Compagnia. Nessuno condannava la credulità e l’avarizia del popolo: la degradante cupidigia di guadagno….. o l’infatuazione che aveva spinto una folla di persone a cacciare le loro teste con tanta fanatica bramosia nella rete tesa per loro di finanzieri intriganti. Queste cose non vennero mai riconosciute.

Come sarà ampiamente provato, non lo sono nemmeno di fronte alle conseguenze della speculazione moderna.”

I casi di John Law e della Compagnia dei Mari del Sud mostrano entrambi i segni di categoria de La commistione tra potere politico e finanza sia quelli de I “guru della finanza” contro gli “ingordi sciocchi” .

Certo, truffe di questo tipo non sono nemmeno concepibile, senza commistione col potere politico, e non possono essere realizzate senza una grande massa di ingordi sciocchi che aspirano solo a diventare ricchi subito ed a misurare il loro successo col possesso del denaro. Personalmente non ritengo che i personaggi della vicenda vadano commiserati, né tantomeno tutelati o rimborsato. L’ingordigia è un vizio capitale.

Enrico Furia

Enrico Furia

approfondimenti:


1 John Kennet Galbraith, Breve Storia dell’Euforia Finanziaria, Bur, novembre 1998, pag. 41 e segg.

2 J. K. Galbraith, op. cit., pag. 23 e segg.

3 J. K. Galbraith, op. cit., pag. 22

4 Cfr. J.K. Galbraith, op. cit., pagg. 41 e segg.

5 J. K. Galbraith, op. cit., pag. 47 e segg.

 

LE BOLLE FINANZIARIE seconda parte
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